20-Nov-22 · Altri articoli
Successo e lavoro, quando non fare carriera diventa un problema
Per alcuni si tratta di una scelta, per altri rappresenta un fallimento. Ecco alcuni motivi per cui la promozione non arriva.
Carriera: “la via scelta e seguita nell’impiego, nella professione, negli studi; la possibilità di accumulare capacità professionali e di salire quindi nella scala gerarchica della professione, fondata sulla competenza”. Così recita il vocabolario Treccani, che aggiunge l’esempio “fare carriera” per indicare l’avanzare nella professione, nei gradi dell’impiego, negli onori. Il termine “carriera” evoca immediatamente prestigio, denaro, riconoscimenti, ed ha una connotazione marcatamente positiva. Quando si parla di qualcuno che “ha fatto carriera”, in genere lo si fa con ammirazione, se non proprio invidia, immaginandola come una condizione assolutamente desiderabile e vantaggiosa.
Di contro, la constatazione di non riuscire, o non essere riusciti, a fare carriera nel proprio ambito lavorativo può essere motivo di frustrazione, amarezza o senso di fallimento. Con i miei pazienti succede di affrontare questo argomento, che a volte costituisce proprio il problema centrale per cui chiedono aiuto. Soprattutto dopo i 40-50 anni, può accadere che alcuni vadano in crisi quando si rendono conto che nel lavoro non sono arrivati dove si erano prefissati di arrivare, o si sentono avviliti per non essere stati adeguatamente riconosciuti per i propri meriti, o covano dentro una rabbia che li corrode nel vedere altri, magari con meno competenze, essere premiati e raggiungere i livelli agognati.
Molte persone non hanno nessun desiderio di fare carriera, non ne hanno bisogno o anzi ne vedono gli aspetti svantaggiosi. Possono vivere in modo appagante il proprio ruolo senza avvertire la necessità né lo stimolo verso traguardi che potrebbero consentire un maggiore guadagno o un maggiore prestigio e sono soddisfatti di dove si trovano. Per altre invece fare carriera è un obiettivo importante e non riuscirci genera malessere o una vera sofferenza.
Diventa allora utile porsi delle domande e rispondersi con la massima onestà: perché per me è importante fare carriera? Come penso che cambierebbe in meglio la mia vita? Cosa ho fatto per raggiungere questo obiettivo? Ho le capacità per un ruolo di maggiore responsabilità? Perché riduco il mio valore come persona a un avanzamento professionale?
Spesso chi guarda con invidia alla carriera altrui si concentra solo sui vantaggi evitando di soffermarsi sui lati potenzialmente negativi: sono disposto ad assumermi maggiori responsabilità, sono pronto all’eventualità di dover dedicare più tempo al lavoro, di dover sottrarre tempo ed energie alla mia famiglia o al mio tempo libero? Sono disposto a cambiare abitudini, mansioni, ad assumere responsabilità come gestire il lavoro altrui, dare ordini, controllare, risolvere problemi, prendere decisioni pagandone le conseguenze? Analizzando i pro e i contro, certe promozioni non appaiono più così desiderabili.
A volte fare carriera non risponde a propri personali valori ma è il modo con cui si tenta di soddisfare aspettative altrui e di ottenere un riconoscimento del proprio valore dalle figure significative della propria vita, oppure un modo per riscattarsi e per dimostrare ad esempio a un genitore ipercritico e svalutante “Vedi, non sono così stupido come mi hai sempre considerato!”. Così l’avanzamento professionale si carica di significati che vanno ben oltre quelli che oggettivamente riveste.
Alcune persone non ottengono i riconoscimenti che meriterebbero perché si espongono poco, aspettano di essere notate e non si propongono e vengono così scavalcate da chi sa mettersi maggiormente in luce. Alcune temono di sbagliare e di non essere all’altezza e pur desiderando essere notate, finiscono per stare nell’ombra per evitare rischi. Le persone con scarse capacità comunicative e relazionali possono avere più difficoltà a fare carriera perché nella maggior parte delle professioni con il progredire della posizione aumenta la necessità di coordinare, mediare, gestire conflitti e di conseguenza le interazioni con altri, perciò non avanzano sia perché rinunciano, sia perché non vengono selezionate per certi ruoli proprio per le loro caratteristiche. Lo stesso vale per gli introversi, che si aprono meno e fanno meno valere le proprie opinioni. Certe persone poi non si trovano a proprio agio nei ruoli di potere, lo vivono male perché hanno interiorizzato il potere come modo per imporre o manipolare piuttosto che come guida positiva e perciò, anche inconsapevolmente, possono evitare le occasioni di avanzare a un ruolo gerarchicamente superiore.
Il dizionario Treccani parla di carriera come di una progressione “fondata sulla competenza”. Idealmente, certo. Nella realtà, sappiamo bene che in certi casi non è così e che tante carriere non sono basate su meriti ma su raccomandazioni, conoscenze, scambi poco dignitosi, o nella migliore delle ipotesi, su circostanze fortunate. Seppur vera, questa constatazione può però diventare un lamento sterile e una scusa dietro cui ci si nasconde per non agire. Senza spinte e senza fortuna occorre impegnarsi con tenacia e determinazione, provare, cambiare, rischiare, ma anche se con più fatica, si può raggiungere l’obiettivo.
O invece, si può prendere atto che non tutto dipende da sé e dal proprio impegno ma intervengono numerosi fattori, come le scelte di studio sbagliate fatte in passato, l’aver speso tempo ed energie per la cura della famiglia, le condizioni economiche e lavorative della realtà in cui si vive. Si può imparare a pacificarsi con sé stessi e non identificarsi con il lavoro, a evitare di darsi un valore in base a qualcosa di esterno che possa restituire un’immagine di successo in modo spesso arbitrario, a ricordare che il lavoro è un mezzo e a cercare altri contesti in cui poter esprimere le proprie qualità e trovare soddisfazione.