26-Jun-19 · Separazione, perdita e lutto
Divorzio, le conseguenze psicologiche
Divorziare comporta diverse perdite: del legame affettivo, di un ruolo sociale, spesso del tenore di vita. Ma qualcosa va salvato...
La fine di un rapporto di coppia è un evento di svolta altamente stressante nella vita di entrambi i coniugi. Anche quando pone fine a una situazione dolorosa, ed è perciò vissuta come una liberazione o l’inizio di una vita migliore, tuttavia rappresenta un processo in cui avvengono cambiamenti e perdite che coinvolgono i vari ambiti vitali della persona.
Si tratta di un vero e proprio lutto, poiché si rompe la struttura familiare degli affetti e si perde l’attaccamento emotivo al partner. Sentimenti di angoscia, rabbia, ansia, depressione, colpa, solitudine, accompagnano la perdita di identità, dovuta alla necessità di separare il proprio io da quello del partner. Il proprio compagno era la fonte primaria di supporto sociale e di soddisfazione-anche se il rapporto era disfunzionale- dei bisogni di intimità, fiducia e supporto psicologico. Si viene a perdere quella condivisione delle responsabilità e difficoltà della vita con un altro adulto.
Con il divorzio si perde anche un ruolo sociale. Essere sposati significa, di fronte alla società, assumere una serie di responsabilità e obblighi codificati, a cui viene attribuito tuttora un valore sociale più elevato, poiché corrisponde alle aspettative del modello familiare tradizionale. Il divorzio non è quindi solo un fallimento privato, ma anche un indebito sottrarsi a un sistema di ruoli codificati.
Spesso al divorzio segue un peggioramento del tenore di vita. Diminuisce la disponibilità economica, non è più possibile dividere i costi di gestione della casa e della vita domestica, e si aggiungono anche i costi legati all’iter giudiziario. Può essere necessario cambiare abitazione in funzione delle nuove disponibilità finanziarie; il coniuge che lascia la casa, spesso deve accontentarsi di una abitazione più piccola e meno confortevole rispetto alla casa coniugale.
Pure la salute risente del divorzio, soprattutto perché viene meno l’effetto protettivo del matrimonio, che induce a stili di vita e comportamenti più sani. Aumenta l’uso di alcool e tabacco, si tende a guidare meno prudentemente, le abitudini alimentari e i ritmi lavorativi divengono meno regolari. Rispetto ai coniugati, i divorziati fanno un maggior uso di farmaci antidolorifici, sonniferi, tranquillanti e antidepressivi. Possono verificarsi problemi psicologici di vario tipo; negli uomini sono più frequenti quando restano soli e non allacciano nuove relazioni, mentre nelle donne sono più frequenti quando non hanno mai avuto una attività lavorativa. Gli uomini possono manifestare trascuratezza nella cura di sé, mentre le donne possono al contrario accentuare la cura del proprio corpo. Dopo il divorzio, nell’uomo è più sentito il bisogno di una nuova partner, mentre per la donna il nuovo stato di single, dopo un matrimonio disfunzionale, è vissuto maggiormente come occasione di crescita e individuazione. A lungo termine dopo il divorzio, le donne stanno comunque meglio degli uomini e riescono con più facilità nel processo di ridiscussione e ricostruzione della propria identità. Per molte, la separazione è un’occasione di fare emergere le proprie capacità in attività prima delegate al marito, per essere per la prima volta autonome, o realizzare finalmente aspirazioni accantonate.
Se fino a poco tempo fa i padri rischiavano di perdere i figli dopo il divorzio, a causa dell’affidamento quasi sempre deciso in favore delle madri, ora il nuovo istituto dell’affido condiviso cerca di contenere questo rischio, stabilendo che il figlio ha diritto a mantenere un rapporto continuativo con entrambi i genitori. Sul piano pratico e di organizzazione della vita quotidiana, tuttavia, è usuale che il figlio resti a vivere con la madre, e che sia il padre a veder diminuite le occasioni di frequentazione con il bambino. Queste, poi, vengono vissute come artificiose e innaturali e provocano un forte disagio nei padri. D’altra parte, a volte, dopo il divorzio, essi si coinvolgono nella vita dei figli con una intensità maggiore rispetto a prima, tanto che la relazione padre-figlio ne risulta migliorata e più soddisfacente.
Le persone che stanno meglio dopo il divorzio sono quelle che riescono a completare il loro “divorzio psichico”; questo significa elaborare la fine del legame, ovvero poterla pensare, darle un senso e infine accettarla. Ogni legame è eterno per la mente, e non si può pensare di disfarsene con un colpo di spugna, allontanandosi fisicamente, cancellando un pezzo della propria vita, o cercando di ignorare il dolore che è comunque parte della fine. Si può continuare a tenere in vita in modo disfunzionale il legame anche dopo il divorzio, sia continuando a sperare in quel legame e a investire nell’altro come unico possibile centro della propria esistenza, attendendo il suo ritorno, sia all’opposto vedendo nell’ex partner un persecutore da odiare a cui fare la guerra, di solito attraverso i figli. In entrambi i casi, è in atto un meccanismo di difesa dal dolore della fine, vissuto come pericoloso e insostenibile. Il “divorzio psichico” permette di lasciar andare l’altro, senza bisogno di aggrapparsi a un legame distruttivo né di tenersi in vita attraverso l’odio e la rabbia. Si può andare via e chiudere un legame senza “sbattere la porta” se si può portare in salvo qualcosa di buono. Cosa portare in salvo? Innanzittutto, la coppia genitoriale. Con la separazione finisce la coppia coniugale, ma genitori si resta per sempre, ed è indispensabile, per il benessere dei figli, tenere vive la responsabilità e la collaborazione genitoriale. Tenere distinte coniugalità e genitorialità è un’operazione estremamente faticosa, ma possibile se dall’esperienza del matrimonio si riesce a portare via qualcosa di buono e positivo, se si sente di potersi ancora dare la mano a favore di un terzo. E’ molto elevato il rischio che la rabbia verso il partner, che ci ha tradito, offeso, deluso, debordi dal campo coniugale, a cui attiene, per colpirlo anche nella sua funzione di genitore. Non possiamo tollerare che il compagno che ci ha fatto soffrire, sia però allo stesso tempo un buon padre o una buona madre, e che i figli ne abbiano bisogno. I genitori parlano in buona fede, ma non si accorgono del grave danno che procurano ai figli quando li assimilano a sé (“Tu sei come me, non sei come quel disgraziato di tuo padre”) o all’altro (“Sei proprio come tuo padre, un irresponsabile”), spinti dalla rabbia per la fine del legame coniugale, che nulla deve avere a che fare con il legame genitoriale. Come un albero non può crescere bene se metà delle sue radici sono avvelenate, così un bambino ha bisogno, per il suo benessere emotivo e per costruire una identità salda e serena, di avere accesso a una immagine buona di entrambi i genitori. Questo gli trasmetterà anche la fiducia nel legame: l’idea che, anche se si è dovuto decidere di separarsi, non tutto è stato inutile e non tutto è stato dolore, e che è possibile cercare la serenità in nuovi legami.