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21-Jun-19 · Amore, coppia, fertilità

Il dolore di non poter essere mamma

Molte donne che non riescono ad avere figli si sentono diverse e incomprese nel loro dolore. Spesso vengono ferite da domande e consigli inopportuni.

Ti guardi intorno e sono pance ovunque. Amiche, cugine, vicine di casa, colleghe, passanti: tutte incinte. Tutto il mondo è incinto. Solo a te non succede mai niente, e giuri che il prossimo malcapitato che oserà pronunciare “Allora, novità?” pagherà per tutti!

Desiderare un figlio e non riuscire ad averlo può diventare molto penoso. Se all’inizio ci si lancia nell’avventura piene di entusiasmo, fermandosi davanti alle vetrine dei negozi pre-maman pregustando il piacere di varcarne a pieno titolo la soglia, e fantasticando sul momento dell’annuncio all’universo intero del lieto evento, poi un mese dopo l’altro l’euforia si spegne e si affacciano preoccupazioni e dubbi: “Perché a me no? Cos’ho che non va?”.

E’ raro che uno si ponga il problema prima, che si chieda se potrà avere figli, se sarà fertile o meno. Si dà per scontata questa capacità talmente naturale, quasi ovvia. Si programma il futuro dicendo “Avrò un figlio”, “Ne voglio almeno due”, o anche “Non ne voglio affatto”, pensando di avere il potere di deciderlo. Si resta allora stupiti quando invece si scopre che il corpo se ne va per i fatti suoi e ci “tradisce”.

Non poter generare dei figli può far sentire una donna diversa. Malgrado i cambiamenti sociali, tuttora il ruolo di madre è quello considerato naturale e principale per una donna. Il messaggio è che se sei mamma sei ok, sei “a posto”, e puoi saltare anche la fila al supermercato! Se non sei mamma, ci sarà sempre qualcuno che bisbiglierà “Chissà, non li potrà avere o non li vorrà?”. Se la prima ipotesi può suscitare umana comprensione e pietà, la seconda è decisamente oggetto di riprovazione sociale e riscuote ben poca simpatia: una donna che non vuole figli non è vista molto di buon occhio. In ogni caso, sull’argomento tutti si sentono in dovere di dire la propria opinione e dispensare consigli, al termine del consueto interrogatorio del genere: sei sposata? hai figli? Ah no? E come mai? Di chi è il problema? Ecc ecc.

Scartata l’ipotesi di mentire, sostenendo di non volere figli, cosa che esporrebbe al pubblico linciaggio, non resta che ammettere la verità, confidando nel buon senso e nella sensibilità dell’interlocutore. Malgrado ogni astuto tentativo di sviare abilmente il discorso, la malcapitata dovrà sistematicamente sorbirsi autentiche perle di saggezza quali, nell’ordine:

  • “Eh, ma sei giovane, vedrai che arriverà!”
  • “Vedrai che quando non ci pensi, arriva!”
  • “Perché non ne adottate uno? Una mia amica/cugina/collega/conoscente ha fatto domanda di adozione ed è rimasta subito incinta!”
  • “Perché non fate la fecondazione artificiale? Una mia amica/cugina/collega/conoscente l’ha fatta ed è rimasta incinta di due/tre/cinque gemelli!”

Il fatto è che le persone si sentono in dovere di dire qualcosa. In buona fede, pensano di rassicurare e incoraggiare. Pur non sapendo nulla delle reali cause, delle condizioni di salute, di cosa siano l’adozione e la fecondazione assistita, percependo l’imbarazzo si affrettano a proporre una soluzione tranquillizzante, spesso a sproposito. Non sanno che una donna che soffre perché non riesce ad avere bambini si è già posta migliaia di volte quelle domande. A volte ha una impossibilità organica contro cui hai voglia a rilassarti…Altre volte non c’è una chiara causa fisica e allora pure peggio: si arrovellerà alla ricerca di quel motivo psicologico oscuro, dentro di sé, che le impedisce di essere madre. Chiunque conosca minimamente l’adozione, sa che un figlio adottivo non può e non deve essere assolutamente il sostituto del figlio biologico mancato. Adottare poi un bambino con la speranza segreta che questo serva da “sblocco” per poter restare incinta è la negazione stessa dell’essenza dell’adozione. Per poter adottare occorre aver superato la ferita della propria sterilità, averle dato un senso, per poter poi accogliere un figlio nato da altri, accettandolo nella sua totalità. La sua origine “altra” sarà un costante richiamo alla propria impossibilità generativa: è indispensabile allora averla elaborata e accettata. L'adozione inoltre non equivale alla genitorialità biologica perché parte già da una doppia sofferenza: quella del bambino, che è stato abbandonato, e quella della coppia, che ha vissuto il dolore della sterilità. Allora la genitorialità adottiva richiede qualcosa in più, perché oltre alle consuete difficoltà di ogni genitorialità, deve gestire anche l’inevitabile dolore di una perdita.

Quanto alla fecondazione assistita, si tratta di una scelta non così ovvia, per le ripercussioni fisiche dei trattamenti necessari e per il costo psicologico legato al notevole rischio di fallimento.

Cosa dire allora a una persona che vive questa situazione? Non dire niente a volte è la scelta migliore. Non insistere, non indagare, non fare domande intime quando si è a tavola con altre trenta persone: sembrano raccomandazioni ovvie, eppure spesso disattese. Meglio un sorriso in silenzio che tanti consigli inopportuni e non richiesti. Tutti vogliono dare una soluzione, è raro che qualcuno chieda “Ma tu come stai?” e  che resti in ascolto. E se lei risponde con una battuta tipo “No, non ho figli, però ho un marito e tre gatti!”, è buona norma assecondare l’umorismo e glissare piuttosto che intavolare un predicozzo spiegando che “Eh, però, i gatti non sono mica come i figli, come si fa a fare un paragone del genere!” .

Più o meno intensa, è quasi inevitabile l’invidia per le altre donne che possono avere figli. Le gravidanze di amiche e parenti possono essere un momento difficile: alla gioia autentica per loro, si mescolano l’invidia e la tristezza, nonché il senso di colpa per il fatto di provare questi sentimenti. Le persone vicine possono essere d’aiuto comprendendo e accettando anche questi sentimenti negativi ed evitando di aggiungervi il peso della propria riprovazione.

Il dolore si può superare scoprendo che si può “generare” in tanti modi, non solo attraverso un figlio biologico. Si può essere madre prendendosi cura di qualcuno, o di qualcosa: anche di un’idea, un progetto, una passione. Nella difficile risposta alla domanda “Chi sono io?”, che tutti prima o poi ci poniamo, le donne che hanno figli partono in innegabile vantaggio: essere una madre copre bene o male una buona fetta di identità. Chi madre non è, è costretta più delle altre a ridefinire l’identità, sua e della propria coppia, cercandola altrove. Per quanto faticoso, può essere però un percorso di crescita e maturazione personale che conduce infine ad un arricchimento, piuttosto che ad una mancanza.

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Signorina lei ha bisogno d'affetto

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