20-Jun-19 · Sviluppo del bambino e dell'adolescente
"E questa dove l'hai imparata?", i bambini e le parolacce
Le parolacce in bocca ai bambini sono particolarmente sgradevoli. Come intervenire con fermezza senza rischiare di alimentarle.
La prima volta che la dice, può anche scapparci un sorriso divertito. Magari la storpia pure, e sulla sua bocca fa un effetto comico. Ma quando comincia a ripeterla con inquietante frequenza anche davanti alla cassiera del supermercato o alla vecchia zia in visita, la cosa si fa imbarazzante e anche il genitore più scafato fatica a restare indifferente. La parolaccia sulle labbra di un bambino suscita quasi sempre un effetto potente e una reazione scandalizzata dell'adulto, che tende a intervenire con animosità nella convinzione di stroncare più efficacemente il turpiloquio. In realtà, una reazione eccessivamente intensa e punitiva può al contrario alimentare la parolaccia.
Il fascino della parolaccia
I bambini fino a 3-4 anni non hanno piena consapevolezza del significato delle parole: le ripetono per gioco, per il suono che producono, imitando gli adulti o i compagni. Quando il bimbo impara le prime parole e le pronuncia, di solito ottiene lodi e incoraggiamenti dai genitori, entusiasti dei suoi progressi nel linguaggio; il piccolo si aspetta allora che accada lo stesso anche quando ripete la parola incriminata, e resta stupito della reazione contrariata dell'adulto. Si accorge però che quella parola ha il potere di attirare l'attenzione e provocare rabbia o ilarità, e può decidere di usarla intenzionalmente, facendone un'arma per ottenere l'effetto desiderato o per sfidare l'adulto. Il bambino più grande, oltre i sei anni, è invece ben consapevole del significato della parolaccia e la usa intenzionalmente, per sottolineare la sua autonomia dall'adulto, per contrapporsi alla sua autorità. Nell'adolescente, la parolaccia è spesso usata come scudo per ostentare sicurezza, per mostrarsi grande e spavaldo, soprattutto nei confronti dei coetanei dell'altro sesso. In famiglia, invece, si osserva una tendenza nuova: i figli adolescenti usano le parolacce per rivolgersi ai genitori, ma non con un intento protestatario come avveniva in passato: piuttosto, ripropongono in casa il gergo che usano abitualmente con gli amici, e in cui la parolaccia è usata come intercalare e accompagna persino i gesti affettuosi.
Fermezza senza intransigenza
Con i più piccoli, di fronte alla parolaccia è opportuno non mostrare una reazione divertita né esageratamente scandalizzata o arrabbiata, per evitare di sottolineare ancora di più il termine e farne un vero e proprio oggetto del desiderio. La parolaccia non va ignorata, poiché, se essa è utilizzata per attirare l'attenzione, si rischia di stimolare il bambino ad alzare il tiro per ottenere un qualche effetto. Meglio dirgli in modo fermo e calmo che certe parole non devono essere usate perché possono offendere qualcuno, senza dilungarsi in spiegazioni dettagliate che il bimbo non è in grado di comprendere. Evitare rimproveri o punizioni eccessivamente duri: le parolacce sono più appetibili proprio in quelle famiglie dove vengono represse con più rigore e intransigenza. Inutile anche sottoporre il bambino a interrogatorio per farsi dire da chi ha imparato la parolaccia: il bambino imita i compagni, i personaggi visti in tv, ma soprattutto familiari e parenti...quelli da cui è più probabile che l'abbia sentita! Spesso i genitori non ne sono consapevoli, ma si lasciano sfuggire qualche parola colorita e il pargolo è sempre in agguato per coglierla al volo e riproporla alla prima occasione utile. Inoltre, è inutile e di scarsa importanza sapere da chi il bambino abbia appreso la parola: serve solo ad alimentare inimicizie e ostilità.
Stabilire i confini
Con i bambini più grandi, oltre i sei anni, si può spiegare più chiaramente perché le parolacce sono offensive, illustrandone il reale significato, e incoraggiando il bambino ad usare delle espressioni alternative e lodandolo quando ci riesce. E' consigliabile stabilire una regola ferma in casa: le parolacce non sono consentite. Allo stesso modo, occorre insegnargli che non è opportuno usarle a scuola e con altri adulti. Estremamente più difficile impedirgli di pronunciarle con i coetanei: lontano dallo sguardo del genitore, la probabilità che scappi la parolaccia aumenta in modo esponenziale. Naturalmente, l'esempio è il miglior insegnamento: difficile e ipocrita pretendere un linguaggio impeccabile quando in casa tra i genitori regna il turpiloquio, o quando l'adulto usa parolacce in pubblico e non se ne scusa. Se il bambino usa sistematicamente le parolacce con intento offensivo nei confronti dei genitori, ciò può segnalare un disagio nella famiglia, in particolare una difficoltà degli adulti nell'esercitare la loro autorevolezza e una tendenza a mettersi su un piano di parità con i figli. Occorre intervenire per ristabilire in casa una sana separazione e distribuzione dei ruoli tra il sottoinsieme dei genitori e quello dei figli. Al bambino deve essere chiaro che offendendo il genitore viene superato un limite e ci saranno un conflitto e delle conseguenze concrete.
Comprendere cosa nascondono
Se da una parte è consigliabile tenere un atteggiamento fermo e coerente che scoraggi l'uso di parole offensive e volgari, è altrettanto importante riflettere su quale motivazione spinga il bambino o il ragazzo a usare un linguaggio simile. L'adulto può aiutare il bambino a prendere consapevolezza dei sentimenti che vengono espressi attraverso la parolaccia: può trattarsi di rabbia, impotenza, gelosia, insicurezza. Effettivamente, le parolacce sono il linguaggio delle emozioni, un condensato capace di esprimere in modo istantaneo ed efficace stati d'animo difficili da analizzare e comprendere per un bambino. Di più, una ricerca ha rilevato che una parolaccia al momento giusto può aiutare a sopportare il dolore fisico! La parolaccia può essere uno sfogo nel momento in cui il bambino è arrabbiato o si sente impotente: piuttosto che fargli un'inutile predica, meglio allora farlo parlare, fargli raccontare cosa è accaduto, e aiutarlo ad esprimere a voce con altre parole i suoi sentimenti e a manifestare il suo malessere in modo più costruttivo.