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21-Jun-19 · Problematiche del bambino e dell'adolescente

Mutismo selettivo: quando l'ansia ruba la voce

I bambini con mutismo selettivo non parlano in certe situazioni sociali. Come stimolarli senza forzarli?

A casa è un bambino allegro, chiacchierone, scherza e gioca, parla con tutti. Quando però si trova a scuola, o con degli estranei, diventa silenzioso, non parla con nessuno, non gioca. Malgrado ogni tentativo, non si riesce a strappargli una parola. Perché tanta differenza? “É timido”, dicono i genitori, “Prima o poi parlerà”. A volte però non si tratta di semplice timidezza, ma di un vero e proprio disturbo definito “mutismo selettivo”.

Come si manifesta

Il mutismo selettivo è un disturbo d’ansia infantile caratterizzato dall’incapacità del bambino di parlare in certe situazioni sociali. L’uso della lingua parlata è appropriato in alcune situazioni, di solito in casa, mentre è assente altrove. Quando prova a parlare, il bambino  è colto da improvvise reazioni ansiose che assomigliano all’attacco di panico e che portano a una vera e propria paralisi delle parole, che non escono dalla gola. Si parla anche di fobia sociale, intendendo una persistente paura delle situazioni e prestazioni sociali. Il disturbo compare tra 1 e 3 anni di età e tende a persistere; lo si nota in genere dopo i 5 anni, perché prima di questa età il bambino parla normalmente in casa e se anche resta silenzioso quando ci sono adulti estranei, ciò viene interpretato dai genitori come semplice timidezza. E’ con la scuola che le difficoltà si fanno più evidenti. Questi bambini si sentono a disagio come se fossero sempre su un palcoscenico, esposti al giudizio degli altri; guardano altrove, abbassano la testa, o hanno uno sguardo assente e inespressivo per non far notare il loro disagio e per non attirare l’attenzione. Non sono semplicemente timidi: la timidezza è un tratto non patologico della personalità, mentre il mutismo è paralizzante e crea numerose difficoltà nella vita quotidiana.

Cause e trattamenti

Non c’è ancora accordo su quali siano le cause del mutismo selettivo: si ipotizzano da una parte diversi motivi di ordine psicologico, dall’altra fattori neurobiologici e genetici.  Le diverse strategie di trattamento includono terapie comportamentali, psicoanalitiche, familiari, farmacologiche o una combinazione di questi approcci. Attualmente, l’approccio che sembra più efficace è quello integrato e ha lo scopo di ridurre l’ansia, aumentare l’autostima e il senso di sicurezza nelle situazioni sociali, usando tecniche come la desensibilizzazione (allenare il bambino a tollerare situazioni sociali progressivamente più stressanti), la ristrutturazione cognitiva (sostituire le preoccupazioni ansiose con pensieri positivi), la modificazione degli stili di interazione nella famiglia. Per avere la massima probabilità di successo, diagnosi e intervento devono essere precoci.

 

Cosa possono fare i genitori

I bambini con mutismo selettivo in genere iniziano a parlare con quelle persone che più trasmettono loro un senso di affetto e sicurezza e che sentono realmente interessate a loro, che li trattano normalmente senza insistere per farli parlare. Si accorgono perfettamente di quando i genitori organizzano occasioni con lo scopo di farli parlare, ad esempio, mandandoli a fare una passeggiata con qualcuno che sperano riesca a sbloccarli: i bambini sono infastiditi da questi inganni, si sentono davvero diversi, con un problema grave. Se poi si sentono provocati (“Voglio vedere quando parli”), non parlare può diventare una sfida e l’unica protezione. Dire “Perché non parli? Ce l’hai la lingua?” è inutile, perché neanche il bambino sa il motivo del suo problema, e dannoso, perché lo fa soffrire, dato che lui vorrebbe parlare ma non riesce.

 Quando per la prima volta il bambino parla, gli altri possono avere esclamazioni di esultanza come “Finalmente! Ha parlato! Ripeti, fammi sentire di nuovo!”: questo è il modo migliore per non sentire più la sua voce. Occorre invece restare quasi indifferenti, come niente fosse, nel modo più naturale possibile. E’ utile anche parlargli in modo indiretto, ed evitare di fare domande quando intorno c’è silenzio ma approfittare delle occasioni in cui ci sono altri che parlano, così il bambino si sente  meno al centro dell’attenzione. I genitori devono elogiare il bambino per le sue qualità positive per rinforzare la sua autostima, e incoraggiarlo alla socializzazione favorendo gli incontri con i compagni di scuola. E’ utile dedicargli del tempo e fargli raccontare le sue sensazioni, cosa che lo aiuta ad aprirsi e rilassarsi.

Cosa possono fare gli insegnanti

Di solito la scuola è proprio il luogo dove è più difficile stare per questi bambini, perché ci si aspetta che tutti partecipino alle attività e l’attenzione è puntata proprio su quelli che invece non lo fanno. Fare pressione, punire o corrompere il bambino perché parli è assolutamente inefficace e, anzi, otterrà l’effetto opposto, perché lo si fa sentire ancora più ansioso e a disagio.

L’obiettivo prioritario della scuola deve essere quello di far sentire il bambino a suo agio e rilassato, comprendendolo e accettandolo. E’ utile che l’insegnante cerchi di conoscere il bambino in modo discreto, possibilmente incontrandolo insieme al genitore prima dell’inizio della lezione e quindi in un contesto più rassicurante; può mettere a suo agio il bambino sedendosi vicino a lui, sorridendogli e parlandogli dolcemente, senza aspettarsi che risponda. In classe, mai forzare il bambino a parlare, ma piuttosto stimolare la relazione con i coetanei, far lavorare in piccoli gruppi, favorire la comunicazione non verbale con l’uso di simboli, gesti, cartellini. Dopo un primo periodo in cui la non verbalizzazione è accettata, si passa a incoraggiare la verbalizzazione, ma sempre con delicatezza e utilizzando degli accorgimenti, come permettere la registrazione su nastro svolta a casa,  i compiti orali in situazione uno-a-uno e entro un piccolo gruppo, o il passaggio graduale dal  bisbiglio a un tono di voce sempre più alto.

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