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27-Dec-19 · La personalità

Nè buoni, nè cattivi

 In psicologia non esistono persone buone o cattive, si parla piuttosto di bisogni che sottostanno ai comportamenti.

«È Natale, dobbiamo essere tutti più buoni», «A Natale si può dare di più!», «Se sei buono Gesù Bambino ti porta i regali»: che siano modi di dire, slogan di spot pubblicitari o le tipiche espressioni che rivolgiamo ai bambini, nel periodo natalizio l’uso del termine “buono” (o di altri riferimenti alla bontà) aumenta in modo esponenziale. Lo sento ripetere di continuo. E ogni volta, a me viene da sorridere, pensando che per noi psicologi “buono” e “cattivo” non hanno senso: non li useremmo mai per definire una persona.

Sono infatti termini che hanno una connotazione morale. Se cerchi “buono” nei vari dizionari, trovi una sfilza infinita di significati e accezioni, ma il primo è sempre qualcosa come “conforme a ciò che è ritenuto il bene morale”, o “moralmente positivo”. D’altro canto, la prima definizione di “cattivo” è sempre “l’opposto di buono. Nel senso morale, malvagio, perverso, disposto al male” o “contrario ai modelli e principi morali”.

La psicologia, però, ha un punto di vista diverso: non in contrasto, ma proprio su altre dimensioni. La psicologia si interessa di ciò che c’è dietro i comportamenti e parla piuttosto di bisogni. Una persona che definiremmo “buona” potrebbe comportarsi in questo modo per un bisogno di approvazione o per una difficoltà a far valere i propri diritti, piuttosto che per una autentica benevolenza. E allo stesso tempo, il comportamento di chi definiremmo “cattivo” potrebbe essere dettato da un profondo dolore, piuttosto che da una genuina volontà di nuocere agli altri. Questo non deve certo giustificare, ma permette semmai di prevenire e curare.

Essere buoni non è un valore positivo in senso assoluto, ovvero “Più sei buono e meglio è”. Ci sono persone “troppo buone” per sottomissione, che evitano i contrasti, non esprimono i loro bisogni perché non sanno come gestire i conflitti. Spesso hanno paura del conflitto perché sono cresciute vedendo adulti che li affrontavano in modo violento o doloroso, oppure hanno imparato a tacere per proteggere gli altri. Per alcune persone “buone”, dare agli altri è una sorta di dovere obbligato piuttosto che una scelta, perché temono di essere altrimenti abbandonate, o perché sentono che il proprio valore dipende da quanto danno. E quando dopo la psicoterapia dicono soddisfatte «Sto imparando ad essere un po’ più cattiva!», in realtà si riferiscono a comportamenti sani, come dare spazio ai propri bisogni e saper difendere anche i propri diritti, senza ferire o colpire gli altri. Quella che si definisce assertività, uno stile comunicativo che non a caso viene collocato in un giusto mezzo tra passività e aggressività.

Quanto alla cattiveria, un aforisma recita “La cattiveria umana, che è grande, si compone in gran parte di invidia e di paura” (A. Maurios). A sua volta, l’invidia nasce da disistima di sé, frustrazione, impotenza, insicurezza, dal non percepire le proprie potenzialità. La paura è spesso paura di perdere qualcuno o qualcosa. Il “cattivo” si sente in credito di avere a ogni costo ciò che gli manca, e allo stesso tempo non ha sviluppato una adeguata empatia, la capacità di mettersi nei panni degli altri. Poche persone compiono il male in modo deliberato, perché amano farlo.

“Buoni contro cattivi” è una comoda schematizzazione che semplifica la nostra visione del mondo. Generalmente, tendiamo a collocarci dalla parte dei buoni e a pensare che noi non saremmo mai capaci di certe malvagità. In realtà, la psicologia osserva che il fatto di comportarsi da buoni o da cattivi dipende non solo da alcune componenti genetiche e da influenze ambientali (l’educazione e la storia della persona), ma anche semplicemente dalla situazione contingente (ad esempio, il trovarsi o meno in gruppo, l’avere dubbi sulla gravità di una situazione, l’avere come riferimento un’autorità che dà ordini).

Il confine tra buono e cattivo diventa così molto più sfumato. La psicologia ci aiuta così ad avere una visione più complessa, articolata e anche contraddittoria di noi essere umani. Aiuta a comprendere da dove nascono i comportamenti ed eventualmente a modificarli, con l’obiettivo di un maggiore benessere della persona con sé stessa e nelle relazioni con gli altri.

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