10-Apr-23 · Famiglia e genitorialità
Accudimento invertito: quando i figli si prendono cura dei genitori
I figli genitorializzati assumono il carico di prendersi cura dei bisogni degli adulti, con gravi conseguenze sul proprio sviluppo.
«Mamma è sempre triste, allora io invece di andare a giocare sto sempre con lei e cerco in tutti i modi di farla ridere», «Babbo quando beve combina parecchi guai, allora io lo controllo sempre e certe volte lo tiro su quando lo trovo che dorme sui marciapiedi», «Babbo è tanto triste da quando è morta mamma, allora io cerco di essere bravissima in tutto, così almeno lui non deve avere altri pensieri», «Tutti mi dicono che anche se ho solo 11 anni ragiono come una donna grande! Ci posso pensare io a mamma, nessun altro la capisce come me».
Sono solo alcuni esempi tratti dalle storie di bambini e ragazzi precocemente adultizzati, che si sono trovati a praticare un accudimento invertito. L’accudimento invertito si verifica soprattutto in occasione di gravi difficoltà familiari o eventi dolorosi come violenze, lutti, separazioni coniugali, gravi malattie fisiche o mentali, dipendenze dei genitori, in cui i figli percepiscono che il genitore è afflitto da profonda sofferenza e assumono su di sé la responsabilità del suo benessere, ma può verificarsi in tutte le situazioni in cui i genitori hanno difficoltà a prendersi cura dei figli.
Trovarsi in alcune limitate circostanze ad accudire i propri genitori in giovane età non è di per sé patologico, ma lo diventa se questa modalità si stabilizza in modo rigido e se il figlio perde completamente la possibilità di essere accudito, ovvero il suo ruolo di figlio. Nell’accudimento invertito, si invertono appunto i ruoli, e il figlio assume il ruolo di compagno, amico o persino genitore del proprio genitore. Si dice quindi che il figlio si “genitorializza”. Può trattarsi di figli adolescenti, ma anche bambini molto piccoli. Avviene un rovesciamento delle funzioni di protezione e accudimento, in cui il figlio viene a trovarsi in una posizione pseudo-adulta ma senza averne gli strumenti e senza aver potuto ancora definire la propria identità. Anche l’adolescente, pur essendo più attrezzato rispetto a un bambino di età inferiore, è comunque costretto, nella condizione di accudimento invertito, a interrompere il processo di crescita psicologica, compreso il compito di separarsi dalla famiglia, individuarsi, definirsi come soggetto autonomo.
La prima conseguenza è una iper-responsabilizzazione che si evidenzia non solo in relazione ai familiari, ma anche negli altri contesti di vita, portando di solito a risultati brillanti a scuola e nelle attività extrascolastiche, ma anche a difficoltà nell’integrarsi con i pari, che questi bambini “mini-adulti” considerano troppo superficiali o poco interessanti e da cui, peraltro, vengono spesso allontanati perché percepiti come pesanti, troppo rigidi nel modo di pensare, inflessibili.
L’attaccamento tra il figlio e il genitore percepito come bisognoso può diventare morboso e formare una coppia chiusa che esclude terzi, fino a provocare gelosia nei confronti dei legami con persone estranee alla coppia genitore-figlio; così può accadere che il figlio sia geloso del rapporto che il genitore può avere con partner o amici, e allo stesso modo il genitore può vedere pericolosi rivali in altre figure affettive vicine al figlio. Questo allontana sempre più la possibilità per il genitore di avere fonti di supporto più sane e funzionali, e per il figlio la possibilità di avere relazioni adatte alla sua età anagrafica e ai suoi compiti di sviluppo.
Per quanto limitante e pesante, questo ruolo invertito è però anche molto gratificante, e per i figli diventa difficile rinunciarvi. Ritornare al proprio normale ruolo di figlio significa da un lato perdere la possibilità di avere un legame privilegiato e unico con il genitore e perciò anche una qualche forma di potere, dall’altro essere assalito dai sensi di colpa. A questo, si accompagna la paura di lasciare a sé stesso un genitore percepito come incapace di cavarsela da solo. Inoltre, l’accudimento invertito rappresenta una difesa per il bambino di fronte a una realtà in cui i suoi bisogni non sono visti o non ricevono sufficiente risposta, perciò egli impara a sacrificarsi e rispondere ai bisogni dei suoi genitori per poter essere amato. Ha quindi paura, lasciando questo ruolo, di perdere l’unica possibilità di essere amato.
Bambini e ragazzi iper-responsabilizzati ricevono anche una forte approvazione sociale in quanto appaiono come piccoli adulti diligenti e affidabili, possono essere lodati per il loro spirito di sacrificio e solitamente il loro disagio passa inosservato e non desta particolare preoccupazione, in quanto vengono scambiati per bravi bambini adattati. Al contrario, crescere in una condizione di accudimento invertito comporta conseguenze negative su molteplici fronti, dal benessere psicologico alla modalità con cui ci si rapporta agli altri, facilitando ad esempio lo sviluppo di disturbi d’ansia e depressivi e favorendo schemi relazionali in cui ci si sacrifica per il bene dell’altro mettendo sempre sé stessi in secondo piano, o ci si lega costantemente a soggetti problematici per ricreare l’antica, familiare situazione di accudimento dell’altro. Diventa perciò essenziale che, quando i genitori siano incapaci di rendersene conto, ci sia almeno uno sguardo attento di un adulto che possa fare luce sulla realtà di questi bambini e ragazzi, intervenendo per salvaguardarli e per incoraggiare i genitori a chiedere aiuto, se necessario.