17-Jan-22 · Famiglia e genitorialità
Madri, basta essere sufficientemente buone
La madre perfetta non rappresenta un bene per il figlio, che ha invece bisogno di un adulto che mostri come accettare il limite e l'errore
Nello scegliere l’argomento per l’articolo di questa settimana, ho pensato a diverse donne che incontro in questo periodo nel mio studio, tutte accomunate da uno stesso timore: essere madri sbagliate, inadeguate, non all’altezza.
Sono imprigionate nel senso di colpa e paralizzate da ogni proprio errore, convinte che invece le altre madri siano migliori, o addirittura perfette. Per loro, e per altri genitori alle prese con lo stesso tormento, vorrei approfondire oggi il concetto di “madre sufficientemente buona”, introdotto dallo psicoanalista britannico Donald Winnicott, importante studioso della psicologia infantile e in particolare del rapporto tra madre e bambino.
Winnicott, che fu anche pediatra, oltre che psicoanalista, sostiene che subito dopo la nascita la madre è tutta presa dalla relazione con il bambino, la sua sensibilità verso le necessità del figlio è massima e le sue cure permettono al neonato di integrare progressivamente le esperienze in un senso unitario di sé. La madre ha poi il compito di sostenere il figlio nello sviluppo della sua autonomia, nel passaggio dall’iniziale stato di fusione con lei, alla sempre maggiore capacità di differenziarsi come un individuo indipendente in grado di rapportarsi alla realtà esterna. Lascia perciò che il bambino sperimenti gradualmente la frustrazione, non si precipita più immediatamente a soddisfarlo. Sintonizzandosi meno coi suoi bisogni, gli permette di sviluppare una sua attività mentale.
In tutto questo, la mamma “sufficientemente buona” è in grado di prendersi cura del suo bambino, ma senza dover essere perfetta e infallibile. Anzi, l’essere perfetta sarebbe un danno per il bambino. Per Winnicott, ciò che conta è che la mamma sia affettivamente presente, che sia autentica e vera, anche con le sue lacune, le sue stanchezze, le sue ansie, i suoi momenti di sconforto. Anzi, è proprio la consapevolezza dei propri limiti e dei propri sentimenti, compresa anche una certa dose di aggressività verso il figlio, a farne una buona mamma.
Nel processo di graduale distacco del figlio dalla madre, rientrano infatti emozioni diverse e anche contrastanti, non sempre positive. Winnicott scrive parole che possono essere di grande aiuto per rasserenare quelle mamme che si sentono in colpa per sentimenti che reputano sconvenienti e sbagliati: “Può capitare di non provare immediatamente amore per i propri figli o di non sentirsela di allattarli”, “Amare è una faccenda complicata e non un semplice istinto”. La perfezione, nel curare ed educare un bambino, non esiste, e aspirare alla perfezione è controproducente. È sano cercare di fare del proprio meglio, cercare di migliorarsi, ma guardando agli errori per quello che sono, accettandoli in modo costruttivo, senza autodistruggersi per aver sbagliato e tormentarsi con sensi di colpa sproporzionati.
Winnicott diceva anche che le madri hanno molte ragioni per detestare i propri figli e che questi sentimenti vanno accettati come normali. Accade al contrario che chi li prova si senta un mostro. Anche un buon genitore che ama il figlio e se ne prende cura, prova a volte questi sentimenti, anche se poi riesce a contenerli e a far prevalere affetto e benevolenza.
Accettare l’ambivalenza dei propri sentimenti permette di riconoscerla e accettarla anche nei figli, che sono così liberi di essere autentici e di poter sperimentare ed esprimere anche la propria aggressività sotto forma di sfida e rabbia verso i genitori.
I figli non hanno bisogno di un genitore perfetto; se il genitore non sbaglia mai (cosa assai improbabile nella vita), il figlio non ha un modello che gli mostri come vivere l’errore (cosa invece assai probabile nella vita) e affrontarlo, si sente sbagliato e in colpa per il fatto stesso di commettere degli errori, e perennemente inadeguato rispetto alla perfezione del modello genitoriale. Per poter fare esperienza della frustrazione, del dolore e del fallimento che inevitabilmente accompagnano l’esistenza, ha bisogno di un adulto che a sua volta li sperimenti. Il genitore che accetta di avere dei limiti insegna anche al figlio cosa fare dei propri, senza doverli censurare.