21-Jun-19 · Ansia, depressione, traumi
Attacco di panico, cosa fare durante la crisi e dopo
L'attacco di panico irrompe con intensa paura e sgradevoli sintomi fisici. Le cause, cosa fare durante la crisi e dopo.
“Mi manca l’aria, mi batte il cuore all’impazzata, mi sento morire…non puoi capire se non l’hai mai provato”: è il tipico resoconto di un attacco di panico. Il primo attacco non si scorda mai, è un’esperienza di puro terrore accompagnato da sintomi fisici imponenti e allarmanti, che fanno temere una grave malattia o addirittura la morte. Si tratta invece di un disturbo d’ansia complesso, che ha a che fare con la nostra modalità di vivere e gestire le emozioni.
Come si manifesta
L’attacco di panico irrompe come un fulmine a ciel sereno, senza alcuna motivazione apparente che possa giustificarlo. Si manifesta con un episodio intenso di ansia che causa estremo disagio e che può durare da pochi minuti a mezzora circa. I sintomi principali sono palpitazioni, senso di soffocamento, tremori, sudorazione, formicolii, paura di morire, paura di impazzire. Si ha una estrema sensazione di paura che non riguarda un pericolo esterno: il nemico invade piuttosto dall’interno. I sintomi fisici sono così imponenti, che la persona è fermamente convinta di avere una malattia organica, in genere di tipo cardiaco. E’ classico che ci si rechi al pronto soccorso temendo un infarto. Segue tipicamente un lungo iter di visite e consulti specialistici, tutti di esito negativo. In genere occorre molto tempo, prima che la persona accetti l’idea che si tratti di un disturbo di tipo psicologico. Per parlare di disturbo di panico, sono necessari più episodi ripetuti nel tempo.
La trappola dell’evitamento
L’aspetto più invalidante del disturbo di panico non è tanto l’episodio in sé, per quanto drammatico, ma il circolo vizioso che si instaura dopo l’episodio e che determina una paura della paura. Nel timore che possa infatti ripresentarsi un nuovo attacco di panico, la persona è indotta ad evitare tutte quelle situazioni che ha collegato all’attacco, e tutte quelle circostanze in cui potrebbe avere difficoltà a scappare o trovare aiuto nel caso il panico si ripresenti: tipicamente, i mezzi di trasporto, o i luoghi affollati, i supermercati, cinema ecc. L’evitamento può raggiungere un livello tale, per cui la persona resta confinata in casa nel timore del ripresentarsi di un attacco. Si instaura inoltre una forte dipendenza dai propri cari, la cui presenza è continuamente richiesta anche per piccoli spostamenti.
Le cause
Secondo l’orientamento attuale, alla base del disturbo di panico si trovano più fattori che concorrono nell’insorgenza o nel mantenimento: predisposizione genetica, esperienze infantili e familiari, tendenza al pensiero negativo, temperamento ansioso.
Alcuni tratti di personalità sono associati maggiormente allo sviluppo di attacchi di panico. Le persone molto attente all’immagine che danno agli altri, conformiste, desiderose di approvazione e di essere sempre all’altezza della situazione, sono quelle più a rischio, così come le persone che soffocano la propria aggressività o le pulsioni sessuali, bloccando così una parte di energia vitale. Altri fattori di rischio sono la tendenza al controllo ossessivo e all’ansia generalizzata. Chi è predisposto agli attacchi di panico di solito dà un’immagine di persona matura, responsabile, adulta, sicura di sé, che è in realtà una maschera e non corrisponde al reale sé. L’attacco di panico smaschera questo ruolo fittizio costringendo a confrontarsi con le emozioni più potenti: la paura della malattia, della follia e della morte; è anzi un concentrato di emozioni, che irrompono per segnalare che qualcosa non va, che si sta soffocando la propria natura più autentica. Non a caso i primi attacchi accadono spesso dopo periodi di stress o eventi di perdita, che la persona ha però minimizzato, sottovalutandone l’impatto emotivo. Le emozioni inconsapevoli e non ascoltate si riversano quindi sul piano fisico. Il panico si presenta inoltre nelle fasi di passaggio della vita, ad esempio all’inizio dell’età adulta, quando è necessario trovare una propria identità, o nell’età di mezzo, quando un primo bilancio della propria esistenza può sfociare in una crisi.
Cosa fare nel momento critico
Alcuni accorgimenti possono alleviare l’attacco e renderlo meno penoso. Se è possibile, cercare di mettersi nella posizione più comoda possibile (non sdraiata, perché peggiora i sintomi) , liberandosi da cinte e lacci, e cercare frescura all’aperto o aprendo una finestra. Cercare di respirare normalmente e lentamente, perché il respiro affannoso provoca un abbassamento dell’anidride carbonica nel sangue, responsabile proprio di gran parte degli spiacevoli sintomi fisici del panico; può essere utile respirare in un sacchetto di carta o tra le mani unite attorno alla bocca. Inutile tentare di eliminare la paura di impazzire o cercare di lottare contro il panico: più utile arrendersi ad esso e lasciare che tutte le sensazioni si presentino, senza contrastarle. Dopo che avranno raggiunto il massimo dell’intensità, inevitabilmente si attenueranno e scompariranno, di solito in un periodo non superiore ai trenta minuti. Nel frattempo, è utile distrarre il cervello focalizzando l’attenzione su altro, ad esempio contando, parlando ad alta voce, o concentrandosi su un pensiero più forte.
Come curare il disturbo
Attualmente si ritiene che il trattamento migliore per il disturbo di panico sia quello integrato, con l’unione di più tecniche che affrontino i vari aspetti del problema. A volte è opportuno combinare farmaci e psicoterapia. Esistono diversi approcci psicoterapeutici, ognuno dei quali approfondisce maggiormente un aspetto. L’approccio relazionale, ad esempio, permette di mettere a fuoco e modificare le problematiche familiari e relazionali in genere, legate all’acquisizione di indipendenza e alla separazione: il panico, infatti, è legato al conflitto tra bisogno di protezione da una parte, e naturale desiderio di autonomia, dall’altra. Chi ne soffre, presenta spesso un’ansia di separazione dalle proprie figure familiari e una personalità insicura e bisognosa di attenzione. La psicoterapia relazionale permette di rintracciare l’origine di queste dinamiche e modificarle. Altri approcci si concentrano sulle distorsioni cognitive, ad esempio sulla tendenza ad ingigantire le normali sensazioni corporee, che a sua volta alimenta un circolo vizioso che porta all’attacco, e sui pensieri automatici disfunzionali(ad esempio, “Non devo mai sbagliare”, “Devo essere all’altezza”). Le tecniche comportamentali si focalizzano sull’”esposizione in vivo”, sostenendo il paziente nell’affrontare le situazioni ansiogene, piuttosto che evitarle. Le tecniche di rilassamento, come il Training Autogeno, sono utili per gestire l’attacco e ridurne l’intensità e migliorano l’atteggiamento verso le sensazioni corporee.