14-Oct-22 · Ansia, depressione, traumi
Sepolti in casa: il disturbo da accumulo, cos'è e come si può curare
Il disturbo da accumulo rende difficile separarsi dai propri beni e comporta serie ripercussioni sulla salute e sulle relazioni sociali.
Sepolti in casa. Molti hanno sentito parlare del disturbo da accumulo per la prima volta solo in occasione dell’omonima serie televisiva americana, trasmessa sul canale Real Time e incentrata sulle vicende di persone affette da questo disturbo e ridotte a vivere in condizioni estreme. Anche l’attenzione della psichiatria su questo specifico disturbo è relativamente recente e ha portato negli ultimi anni ad approfondirne le caratteristiche, facendo luce su una patologia probabilmente a lungo sottostimata e che in realtà sembra interessare almeno il 2% della popolazione.
Il disturbo da accumulo consiste in una difficoltà persistente a buttare via o a separarsi dai propri beni, indipendentemente dal loro valore, difficoltà dovuta al bisogno di conservare gli oggetti e al disagio che gettarli via procura. La difficoltà a gettare i beni comprende anche il venderli o regalarli o riciclarli. L’accumulo che ne deriva ha conseguenze importanti sulla qualità di vita della persona perché congestiona gli spazi, ne impedisce l’utilizzo, compromette l’igiene e la sicurezza e spesso comporta anche ripercussioni relazionali, deteriorando il rapporto con familiari, amici e vicini di casa.
Il disturbo compromette seriamente la qualità di vita anche dei familiari conviventi e innesca contrasti qualora questi tentino di sgomberare forzatamente l’abitazione o di riordinarla, prospettiva che determina alti livelli di ansia e una intensa opposizione.
L’accumulo può riguardare non solo gli oggetti, ma anche gli animali. Il grave sovraffollamento che ne deriva, unito all’incapacità di garantire le cure igieniche e veterinarie necessarie, comporta gravi ripercussioni sulle condizioni di vita degli animali.
L’accumulo deriva non solo dalla difficoltà a gettare gli oggetti, ma dalla tendenza ad acquisirne in eccesso, continuando ad acquistarne anche se non sono necessari e se non c’è spazio, o recuperando oggetti gettati da altri o disponibili gratuitamente.
Gli oggetti più frequentemente accumulati sono giornali, abiti, borse, libri, documenti, ma potenzialmente qualunque oggetto, o parte di oggetto, che ai più apparirebbe inutilizzabile, può divenire oggetto di accumulo, persino l’immondizia. Gli oggetti vengono ammucchiati in modo caotico negli spazi rendendoli del tutto o quasi inservibili: la persona non è più in grado di cucinare in cucina, di dormire nel letto, di attraversare il corridoio, di curare l’igiene personale.
Il rischio di caduta, di incendio e di altre ripercussioni sulla salute è molto elevato, anche perché in caso di pericolo le vie di fuga sono spesso bloccate. L’ingombro può estendersi anche fuori dall’abitazione, invadendo garage, giardini, automobili.
In certi casi chi soffre di questo disturbo è consapevole di avere un problema, ma più frequentemente ritiene che le sue convinzioni e i suoi comportamenti siano giustificati, fino ad arrivare al delirio, resistente di fronte ad ogni dimostrazione contraria. I motivi addotti per conservare l’oggetto sono l’utilità, anche se non immediata (“Potrebbe servirmi in futuro”), il valore estetico o il significato affettivo. Si può trattenere un oggetto pensando che magari nel tempo acquisirà valore, o che potrebbe servire a un conoscente, oppure per paura di perdere informazioni importanti, come nel caso di riviste e libri.
Ancora più difficile separarsene, quando un oggetto è legato a un ricordo, a una persona, a un momento della propria vita e gettarlo appare come perdere una parte di sé. I processi decisionali sono deficitari, perciò la persona ha difficoltà a prendere decisioni, non possiede criteri in base a cui scegliere cosa buttare e nel timore di commettere un errore, rimanda continuamente la decisione. Anche la paura di perdere il controllo sulle cose alimenta la difficoltà a lasciarle andare. La prospettiva di doversi separare dalle cose è accompagnata anche dalla preoccupazione sul loro destino, sull’eventualità che vadano sprecate o danneggiate, ed è massima nel caso che l’accumulo riguardi gli animali.
Il disturbo da accumulo ha ottenuto il riconoscimento di disturbo a sé stante solo da pochi anni, mentre prima era considerato un aspetto del disturbo ossessivo compulsivo. In effetti, molte persone che soffrono di questo disturbo hanno nello stesso tempo anche un disturbo ossessivo, ma non sempre è così, molte altre presentano la sindrome da accumulo anche al di fuori di un quadro ossessivo. È comunque frequente l’associazione con altri disturbi, soprattutto depressivi e ansiosi, e con tratti temperamentali come l’indecisione. Generalmente è un disturbo cronico che tende a peggiorare nel tempo, rendendosi evidente soprattutto verso i 50 anni e poi aggravandosi ulteriormente.
Chiedere aiuto è difficile non solo perché la persona spesso non si rende conto della gravità del problema, ma anche perché, quando invece se ne rende conto, si vergogna profondamente delle condizioni in cui vive e tende a nasconderlo e ad isolarsi. Intervenire in modo drastico liberando a forza l’appartamento è una scelta inutile e controproducente e occorre molta comprensione e pazienza per convincere la persona a ricevere un aiuto, facendo leva soprattutto su ciò che percepisce come vantaggio, ad esempio poter di nuovo ricevere in casa le persone care. La terapia più utilizzata è la psicoterapia cognitivo-comportamentale, eventualmente associata a un trattamento farmacologico e al coinvolgimento di altri enti e forze dell’ordine, nel caso l’accumulo riguardi gli animali.
La psicoterapia aiuta a sviluppare strategie per prendere decisioni e abilità di organizzazione, ma soprattutto a modificare e ristrutturare quelle convinzioni che portano all’accumulo. Con l’esposizione graduale nell’immaginazione e dal vivo, la persona è sostenuta nell’ affrontare la situazione reale (evitare di acquistare un nuovo oggetto e disfarsi di uno vecchio) senza essere sopraffatta dall’ansia.