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21-Jun-19 · Ansia, depressione, traumi

Fobia sociale: la paura del giudizio degli altri

La fobia sociale comporta la paura di apparire inadeguati. Si guarisce concentrandosi sugli altri piuttosto che su se stessi.

Prendere la parola in pubblico, tenere una conferenza, esibirsi suonando uno strumento: ci sono situazioni che ci espongono al giudizio altrui e ci procurano una certa, normale apprensione. Ma per alcuni, l’apprensione diventa vero terrore, e le situazioni temute sono anche le più semplici della vita quotidiana. È ciò che accade nella fobia sociale.

“Farò una figuraccia!”

La fobia sociale è un disturbo ansioso che riguarda le relazioni sociali: è la paura di apparire inadeguati di fronte agli altri e di essere giudicati in modo negativo. È accompagnata da sintomi fisici come tachicardia, sudorazione, vampate di calore, tremore, disturbi gastrointestinali: una situazione di intenso malessere psicofisico, che va al di là di ciò che comunemente intendiamo per timidezza.

La paura porta a evitare le situazioni sociali restringendo sempre più i campi vitali. Può riguardare attività che devono essere svolte alla presenza di altri, come parlare in pubblico, suonare uno strumento, mangiare mentre si è osservati, fare acquisti in un negozio, ma anche semplicemente scrivere la propria firma davanti a qualcuno, telefonare, rivolgersi a uno sconosciuto o entrare in una stanza dove sono presenti altri. La paura comincia a presentarsi molto prima dell’evento temuto, anche al solo immaginarlo, alimentando l’evitamento.

Il disturbo rende più difficile per queste persone ottenere successo scolastico e lavorativo e avere delle relazioni intime appaganti, perché evitano di esporsi e non mettono in mostra capacità e doti personali che pure possiedono. Vorrebbero tanto dare una buona impressione di sé ma non credono di poterci riuscire.

“Mi guardano tutti”

Nella prestazione lavorativa, o scolastica, o durante una conversazione con qualcuno, la persona fobica perde di vista la prestazione o la conversazione in sé ed è tutta concentrata nel cogliere i segnali del proprio malessere, che teme gli altri percepiscano. Teme di non riuscire a parlare, di bloccarsi, di balbettare, di arrossire. Considera drammatica ogni sua inadeguatezza alimentando sempre più l’ansia e allontanandosi da una visione realistica della situazione.

Come in altri disturbi d’ansia, si genera una paura della paura stessa: la persona  teme che gli altri si accorgano che è in ansia, che notino ad esempio il rossore del viso o il sudore delle mani, e pensa che la giudicheranno stupida, pazza, debole.

Il disturbo è accompagnato e provocato da pensieri rigidi e distorti come “È sbagliato mostrarsi ansiosi” o “È da stupidi non avere la battuta pronta”, o ancora “Tutti mi osservano”, “Tutti mi criticano”, “Sicuramente andrà male”. Sono convinzioni rigide su quali siano i comportamenti socialmente opportuni e percezioni irrealistiche su di sé e sugli altri.

Autosvalutazione e iperreattività

Attualmente si ritiene che alla base della fobia sociale interagiscano fattori genetici, educativi e sociali. Come nel panico, vi sarebbe una iperreattività cerebrale agli stimoli pericolosi, per cui anche minacce in realtà minime attiverebbero una interpretazione e una reazione comportamentale esagerate.

Le persone con fobia sociale hanno inoltre una scarsa valutazione di sé. Esperienze familiari sia di rifiuto, sia di iperprotezione, possono contribuire allo sviluppo di una immagine di sé come persona incapace e inadeguata. Anche esperienze nel contesto della scuola e dei gruppi di aggregazione che sono state vissute come umilianti possono portare al disturbo. Anche se il fatto originario agli occhi dell’adulto potrebbe apparire insignificante, ciò che conta è come stato vissuto allora, quando era più piccolo e quindi vulnerabile. Lo stress vissuto può essere così forte che il ricordo rimane come cristallizzato, e il disagio torna anche dopo molto tempo nelle situazioni simili a quella originaria.

Concentrarsi sull’altro

La fobia sociale può essere curata con il trattamento farmacologico, con quello psicoterapico, e, ancora meglio, con una integrazione di entrambi. Un trattamento psicologico efficace è quello cognitivo comportamentale, che mira a modificare i pensieri disfunzionali che scattano nelle situazioni sociali e inducono l’ansia. L’obiettivo è ridimensionare le aspettative e i giudizi sul comportamento proprio e altrui e prestare meno attenzione ai sintomi fisici, evitando di innescare il circolo vizioso dell’ansia; concentrarsi meno su di sé, e più sull’altro. Le situazioni temute vanno affrontate gradualmente, anche con il supporto di tecniche di rilassamento che aiutano a ridurre e gestire i sintomi ansiosi. Allo stesso tempo, il trattamento sviluppa le abilità sociali per interagire con gli altri. Abilità sociali sono, ad esempio, presentarsi, iniziare una conversazione, esprimere un’opinione, porre una richiesta, discutere un problema, ma anche guardare negli occhi l’interlocutore, stringere la mano, mantenere una certa postura. Ampliare e rendere più flessibili le abilità sociali fa sentire più sicuri ed equipaggiati nell’incontro con gli altri.

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