17-Aug-23 · Psicologia del benessere
"Posso" invece che "Devo": il potere delle parole che usiamo con noi stessi
Le parole che usiamo nel nostro dialogo interiore hanno un grande potere: scegliamole con cura.
È la mia parola preferita, poche lettere ma un mondo di significati: “Posso”. Trovo che sia allo stesso tempo il più utile strumento e il più ambito risultato di una psicoterapia. “Posso” significa libertà di scegliere, consapevolezza del limite e della capacità al tempo stesso, responsabilità personale, flessibilità. Restituisce alle persone un potere e un controllo sulla propria vita e permette di uscire da schemi rigidi e disfunzionali.
“Posso” invece che “Devo”
“Devo farcela”, “Devo riuscire”: molte persone credono che ripetersi queste frasi serva a darsi la forza e la motivazione per raggiungere un obiettivo. Usano “Devo” nel senso di “Non c’è altra soluzione”, “Non ci sono scuse”, pensando che il senso di costrizione e inevitabilità possa costituire una spinta decisiva. In realtà, il “devo” spesso non fa che procurare ansia, urgenza, timore di fallire, rifiuto, ribellione, sensazione di essere soffocati dalle aspettative altrui.
Ogni volta che i miei pazienti cominciano una frase con “Devo”, rischiamo di non andare molto lontano. I buoni propositi si arenano presto sullo scoglio di emozioni negative. Il “devo” fa emergere in modo spietato la distanza tra l’obiettivo e i nostri desideri, le nostre capacità, le nostre energie. Suggerisco sempre di sostituirlo con “posso”. Non si tratta di una mera sostituzione di vocabolo, ma di cambiare prospettiva. “Posso” mi restituisce potere, il focus torna su me stesso piuttosto che sull’esterno: la realtà può essere, entro certi limiti, adattata sulla mia misura.
Non sono obbligato
Percepire qualcosa come un obbligo non ci aiuterà a farlo. Soprattutto quando parliamo di emozioni e sentimenti, che non possiamo controllare e non ci possiamo imporre di provare. E soprattutto in quei casi in cui davvero non c’è alternativa: siamo sostanzialmente obbligati, ad esempio, ad accudire i figli, o un genitore anziano, o a lavorare. Ci sono situazioni che sembrano estreme ma non lo sono affatto: la mamma che non voleva un figlio e soffre dicendo “Devo amarlo ma non ci riesco, sono un mostro”, o il figlio che dice “Devo accudire mio padre anziano ma mi ha sempre trattato male e ora non ci riesco, me ne vergogno, un figlio deve comunque prendersi cura dei genitori”. Il senso del dovere qui non sarà d’aiuto. Meglio invece partire da ciò che mi sento di poter dare: anche se è pochissimo, non importa. Un punto di contatto con quel bambino o quel padre, qualcosa per cui sento “Questo sì, lo posso fare per lui”, e poi da lì partire per provare a costruire di più.
Questo è in mio potere
Siamo costretti a confrontarci con perdite e rinunce. A volte troviamo la strada sbarrata per il nostro obiettivo, ma possiamo usare percorsi alternativi. Porto spesso esempi dal mondo della malattia grave, non perché sia l’unico che conosca, ma perché è quello in cui non maggior nitidezza si vedono il limite e tuttavia il desiderio e la forza, l’accettazione e la tenacia. Sono abituata a vedere i miei pazienti che affrontano ogni sorta di limitazione e perdita (di una parte del corpo, del lavoro, di un progetto genitoriale, della vita stessa) con dolore ma anche con una commovente capacità di aggirare l’ostacolo, di cambiare obiettivo o di godere di poco. “Questo non posso più farlo, ma quest’altro sì!”: è ciò che dà loro fiducia e serenità. “Soffrivo perche non potevo più correre con la mia bambina, ma ora ho imparato che posso stare ore a disegnare e giocare a tombola con lei, a lei piace anche di più e io sono felice”; “Non volevo più andare al mare con questa cicatrice orrenda sulla pancia, ma poi ho pensato che posso comprarmi uno di quei costumi che vanno di moda ora, com’è che si chiama? Ah ecco, il trikini!”; “Volevo un figlio e non so se potrò averlo; intanto ho deciso di prendere un cane, posso almeno prendermi cura di lui!”.
Ho le capacità
“Posso” significa anche “sono capace”. Quando dobbiamo affrontare una prova, piuttosto che pensare alle attese degli altri o alle conseguenze di un fallimento, è più utile concentrarci sulle nostre capacità. Come abbiamo affrontato questa situazione in passato? Quali sono i nostri punti di forza? Piuttosto che pensare “Devo farcela perché fallire sarebbe la fine”, o “Devo farcela perché tutti se lo aspettano da me”, come può accadere ad esempio a un atleta famoso prima di una gara importante, con l’effetto di percepire un’ansia che può diventare paralizzante, è importante dirsi invece “Posso farcela, perché …”, e a seconda delle situazioni, focalizzare il positivo: “Perché mi sono allenato”, “Perché ho studiato”, “Perché sono bravo a …”. Così recuperiamo la fiducia ed evitiamo che la normale tensione che accompagna le nostre prestazioni, utile ad attivarci e a dare il meglio quando resta entro certi limiti, diventi invece un’ansia che ci danneggia.