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12-Jun-20 · Psicologia del benessere

"Se lo avessi fatto prima!", quando il rimpianto ci tormenta

A volte ci torturiamo nel rimpianto di non aver fatto prima certe scelte, dimenticando che non ne avevamo le risorse e i mezzi.

«Se lo avessi fatto prima, ora non sarei in queste condizioni», «Se lo avessi fatto prima non avrei sprecato tutto questo tempo, sono stato uno stupido», «Avrei dovuto farlo prima, ora è troppo tardi/ora non ha più senso/ ora serve a poco». Sono frasi molto frequenti nella stanza di psicoterapia. Sono pronunciate con rimpianto, amarezza, colpa, vergogna, rassegnazione, impotenza, sfiducia. A volte precedono un tentativo di cambiamento («Proverò a fare così, ma tanto, anche se riuscissi, ormai servirebbe a poco»), altre volte lo seguono («Sì, finalmente l’ho fatto, ma tanto ormai è inutile, avrei dovuto farlo tanto tempo fa»).

Le sento pronunciare in circostanze diverse. Dalla signora che arriva in ospedale con un nodulo al seno ignorato per anni, per non aver avuto il coraggio di farsi visitare, e che si dispera: «Ora sono qui con una palla grossa come un’arancia…se lo avessi fatto prima non sarei ridotta così. Sono stata un’idiota e non me lo perdonerò mai!». Dalla ragazza che si morde le mani: «Ci ho messo dieci anni per lasciare il mio compagno che mi maltrattava. Ho sprecato gli anni più belli, come ho potuto essere così stupida da non farlo prima?». Dall’uomo che commenta sconsolato: «Solo dopo che lei mi ha lasciato finalmente ho smesso di bere. Se lo avessi fatto prima, lei sarebbe ancora con me».

Ma se non lo hai fatto prima, è perché non era possibile farlo. Non c’erano le condizioni, non ne avevi gli strumenti, anche se l’inganno del “senno di poi” te lo fa sembrare ora fattibile, perché cancella dalla memoria tutti gli elementi che allora ti bloccavano.

Come dico alle pazienti disperate in ospedale, se la mente ha deciso di mettere fuori dalla coscienza e di ignorare quella pallina avvertita nel seno, è perché il carico di angoscia che scatenava era soverchiante, intollerabile e ingestibile. Probabilmente, anche una diagnosi strappata con la costrizione non sarebbe servita a niente. Se ora sei qui è perché hai le energie e le risorse sufficienti per tollerare questa realtà e per affrontarla, e il momento giusto è ora.

Quando ti liberi di una relazione disfunzionale dopo anni di sofferenza e cade il velo che prima ti faceva vedere una realtà distorta, ti chiedi come hai fatto a stare lì dentro, ti rimproveri di essere stato cieco o vile dimenticando quello che ti imprigionava lì: colpa, vergogna, dipendenza, paura di non farcela da solo, intimidazioni, ricatti emotivi.

Per cambiare e abbandonare un comportamento distruttivo, a volte è necessario sperimentarne le estreme conseguenze e solo da lì finalmente nascono una motivazione sufficientemente solida e la forza per agire. Non “Se avessi smesso prima di bere non mi avrebbe lasciato”, quindi, ma piuttosto “Se non mi avesse lasciato non avrei smesso di bere”. E forse, il bere di uno era la manifestazione di una relazione disfunzionale a cui ciascuno dava un proprio contributo, e proprio il cessare della relazione ha permesso al sintomo di dissolversi.

Altre volte, l’«avrei dovuto farlo prima» è solo uno dei modi con cui si manifesta una resistenza al cambiamento: nonostante qualcosa faccia soffrire e l’unico desiderio sia liberarsene, al momento di agire la paura di cambiare induce al dietrofront con la scusa che tanto, anche cambiando, si risolverebbe poco, che i danni maggiori sono già accaduti, che il vantaggio sarebbe irrilevante.

In ogni caso, di fronte a un «Ah, se lo avessi fatto prima…», dico questo: lascia andare il passato, perdonati per quello che non hai potuto fare, sii fiero e grato della tua nuova consapevolezza, delle nuove possibilità, delle energie che hai saputo recuperare e prova a stare nel presente e viverlo come fosse un nuovo inizio.

 

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Signorina lei ha bisogno d'affetto

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