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26-Jun-19 · Psicologia del benessere

Piangere, i benefici delle lacrime

Piangere permette di liberare tensione e dolore e di ricevere il supporto degli altri. Ma quanti tipi di pianto esistono?

Le lacrime sono il nostro primo linguaggio: il neonato che si affaccia al mondo, lo fa con un sonoro pianto, e continuerà a usare spesso  questo richiamo così potente e universale, capace come nient’ altro di comunicare emozioni e di suscitare aiuto e protezione. Il pianto segna poi anche da adulti le tappe importanti della nostra vita. Possono essere lacrime di dolore, tristezza, commozione, sollievo, rabbia, colpa, impotenza; possono essere versate liberamente, più spesso con imbarazzo, a volte con vergogna e umiliazione.

Le donne piangono notoriamente più degli uomini. Per la precisione, in base a una recente ricerca, le donne piangerebbero in media 47 volte l’anno, a fronte delle sole 7 volte degli uomini. Inoltre le donne piangono più a lungo, in modo più drammatico e straziante. In genere non si sentono particolarmente imbarazzate se piangono, mentre un uomo che sia colto in flagrante  accamperà la classica scusa del genere “Mi è entrato qualcosa nell’occhio”. Oltre a motivi culturali, che inibiscono il pianto nell’uomo associandolo a un’idea di debolezza e fragilità, vi sarebbero anche spiegazioni biologiche alla base di questa disparità. Disparità che emerge, tra l’altro, solo a partire dai 12 anni, perché prima maschi e femmine tendono a piangere nello stesso modo. Pare che la maggior propensione femminile al pianto sia legata alla quantità maggiore di prolattina nell’organismo, che appunto viene secreta con le lacrime.

Le lacrime contengono anche altre sostanze, come ormoni adrenocorticotropi (associati allo stress) lisozima (potente antibatterico) ed encefalina (oppioide con funzione anestetica). Queste sostanze chimiche sono presenti solo nelle lacrime associate a emozioni autentiche; non sono presenti, ad esempio, nelle lacrime che versiamo quando sbucciamo una cipolla. L’ipotesi è che il pianto in una situazione emotiva sia un prezioso strumento naturale con cui l’organismo tenta di ristabilire l’equilibrio e il benessere, che erano stati persi a causa di una situazione stressante, eliminando i prodotti chimici responsabili dello stress. Il pianto inoltre inizialmente produce un effetto attivante, con aumento del battito cardiaco, e in seguito calmante, con diminuzione della frequenza respiratoria e rilassamento muscolare.

Sono stati descritti diversi tipi di pianto. Il pianto di protesta, con urla ad alta voce, mira a ripristinare la situazione; il pianto triste e silenzioso è legato a una perdita e mira a creare nuovi legami di attaccamento. I singhiozzi scuotono il corpo e segnalano che si piange per una sofferenza propria (in genere non si singhiozza nel pianto di compassione per il dolore altrui); il gemito accompagna invece un dolore intenso e insanabile. Il pianto senza lacrime è indice di disperazione estrema e può caratterizzare gravi stati depressivi; poter cominciare a piangere è in questi casi proprio l’inizio della guarigione, come capacità vitale di rientrare in contatto con i propri sentimenti. Del resto, Hermann Hesse scriveva che “le lacrime sono il ghiaccio dell’anima che si scioglie”: scongelano uno stato di disagio, di blocco.

Pensiamo al dolore come a una sensazione angosciosa da cui fuggire, ma affrontarlo e lasciarsi andare attraverso il pianto serve a fare i conti con noi stessi e a crescere. Spesso cerchiamo di controllare le emozioni intense perché le crediamo pericolose. La tristezza, soprattutto, fa paura perché temiamo possa sopraffarci. Abbandonarsi al pianto significa invece  poter guardare i propri sentimenti e accettarli , senza tentare di controllarli a tutti i costi. Significa accettare la realtà del presente e del passato, percepire la nostra tristezza, quanto siamo stati feriti. Piangere può cambiare il mondo esterno, perché è una visibile richiesta di aiuto che induce gli altri a dare supporto. E’ un segnale di abbassamento delle difese che serve a inibire l’aggressività altrui e suscitare compassione. Ma anche quando non riesce a cambiare il mondo esterno, trasforma comunque il mondo interiore liberando la tensione e il dolore. Non a caso in psicoterapia il pianto liberatorio è un potente aiuto terapeutico ed è un punto di arrivo prezioso e delicato. Quando il paziente piange, si sta permettendo il “lusso” di comunicare liberamente ciò che sente, e allo stesso tempo si affida con fiducia al terapeuta permettendogli di accoglierlo. Al contrario, capita che il paziente rida parlando dei suoi problemi peraltro gravi e dolorosi. Si tratta di un riso di difesa e resistenza,  una negazione della realtà dei propri sentimenti. Ci sono persone che non piangono mai; a volte si tratta di persone sempre positive, allegre, che sembrano non soffrire mai.  Si sentono costrette a mantenere questa “parte” agli occhi degli altri e non riescono a piangere perché temono che, se lo facessero, potrebbero deludere gli altri e perdere il loro amore o la loro approvazione.

Piangere di fronte a qualcuno è di sollievo per la maggior parte delle persone; solo per una piccola percentuale è un’esperienza umiliante. Se si piange di fronte a una sola persona l’effetto è in genere positivo, mentre sta peggio chi si trova a piangere davanti a un gruppo di persone. L’importanza del contesto è cruciale: il pianto è benefico se induce supporto sociale, attenzioni, interesse, mentre peggiora lo stato emotivo della persona quando  il  contesto è freddo, privo di interazioni sociali. Anche l’atteggiamento che i genitori avevano verso il pianto durante l’infanzia è una variabile importante; così trae più benefici dalle lacrime chi ha avuto genitori premurosi, che si attivavano con sollecitudine per confortare dal pianto.

La capacità di versare lacrime è anche alla base della compassione di fronte al disagio dell’altro. Si piange per empatia, identificandosi con la persona che piange e condividendo la sua situazione di impotenza. Molti hanno difficoltà a rispondere al pianto di un’altra persona, perché quelle lacrime vanno a toccare il dolore e la tristezza che si sforzano di negare in se stessi . Spesso ci si sente in imbarazzo e si dice “Dai, non piangere”, perché l’altro ci mette a disagio mostrandosi nella sua fragilità, un po’ come se fosse nudo davanti a noi. Tuttavia, ciò non significa che il pianto sia un segno di debolezza. Anzi, è semmai patologico non riuscire a piangere, poiché priva di uno strumento naturale con cui l’organismo ristabilisce l’equilibrio in seguito a uno stress. Non c’è nessuna ragione per vergognarsi di piangere; se, anzi,  tutti potessero darsi il permesso di uno sfogo attraverso le lacrime, ne trarrebbero enorme  vantaggio la nostra salute fisica e psicologica.

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