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28-Jan-23 · Altri articoli

Ritardatari cronici, cosa c'è dietro il loro comportamento?

Alcune persone arrivano sistematicamente in ritardo. Quali motivazioni psicologiche si celano dietro questo comportamento così irritante per gli altri?

A tutti capita a volte di arrivare in ritardo ad un appuntamento, a una riunione, al lavoro, o magari di perdere l’autobus o un treno. Ci sono però persone a cui non capita saltuariamente, persone che sistematicamente arrivano in ritardo ovunque, o in alcune specifiche situazioni, provocando negli altri irritazione e malcontento e finendo anche per compromettere relazioni, amicizie, rapporti professionali. Anche nel mio lavoro di psicologa mi succede di incontrare ritardatari cronici. A volte si rivolgono a me proprio perché sono consapevoli di questo loro problema e vogliono risolverlo, altre volte agiscono il problema arrivando sempre in ritardo all’appuntamento senza neanche sapere perché lo fanno, ed occorre, durante la terapia, rendere esplicito e affrontare questo comportamento e affrontarne le motivazioni.

Il ritardo dell’altro, quando si ripete, ci infastidisce e ci fa arrabbiare, perché ci sentiamo non rispettati e non considerati, come se i nostri impegni e il nostro tempo non contassero. Consideriamo il ritardatario una persona egoista che non si cura degli altri. Ma cosa c’è dietro la tendenza cronica ad arrivare in ritardo?  A volte, è vero, possono esserci egoismo e noncuranza dei diritti degli altri. Ma i motivi possono essere davvero tanti e molto diversi tra loro, alcuni banali, chiaramente osservabili e facilmente intuibili, altri meno ovvi, e anzi sorprendenti e molto spesso inconsapevoli.

Nei casi più semplici e perlopiù consapevoli, si tratta semplicemente di una difficoltà ad organizzarsi, a pianificare gli impegni, a valutare correttamente il tempo necessario per svolgere una serie di compiti. Può trattarsi di essere troppi ottimisti sui tempi che occorrono sottostimando il peso di potenziali imprevisti, soprattutto se il posto da raggiungere è vicino: “Che ci vuole, in cinque minuti sono lì”. E invece proprio questa sicurezza inganna e fa sì che il rischio di essere in ritardo sia maggiore proprio lì dove non ce lo aspetteremmo. In altri casi è invece la tendenza a distrarsi che porta ad allungare i tempi delle attività, accumulando ritardo, oppure l’essere multitasking, portando avanti contemporaneamente diversi impegni con l’illusione di poter essere puntuali dappertutto, o ancora l’essere troppo perfezionisti perdendosi in inutili dettagli. Per alcuni invece arrivare in ritardo è una strategia usata volontariamente per attirare l’attenzione, per creare suspance, per farsi attendere, per farsi notare, per rimarcare la propria posizione superiore o di potere nei confronti degli altri.

Altre motivazioni sono più sottili, spesso poco consapevoli e legate al modo con cui è vissuto il rapporto con gli altri, ad attese, bisogni, paure che possono avere radici molto lontane e risalire ai primi anni di vita e alle prime relazioni con le figure di attaccamento. Motivazioni legate alla percezione di sé come persona meritevole o meno, alla stima di sé, oppure alla paura del rifiuto e dell’abbandono o alla rabbia verso imposizioni e doveri. Così, ad esempio, alcuni tendono ad arrivare sempre in ritardo perché per primi svalutano la propria presenza e il proprio contributo e sono convinti di non essere importanti, che la loro assenza o il loro ritardo passeranno inosservati perché credono che per gli altri, che loro ci siano o no, non farà differenza.

Arrivare in ritardo può essere un atto inconscio di ribellione per l’insofferenza verso obblighi e regole decisi da altri o dalla società stessa e vissuti come una limitazione alla propria libertà. In questo caso è perciò il riflesso di un rapporto difficile e conflittuale con le figure che rappresentano l’autorità vissute come oppressive e a cui ci si ribella. L’origine risale al rapporto con le figure genitoriali, percepite come troppo severe e repressive, ma anche come iperprotettive o richiedenti. Il ritardo diventa quindi una forma di disobbedienza.

Per chi ha tratti narcisisti, essere puntuali può essere vissuto come una forma di sottomissione, come a dire “Ho bisogno di te”, “Dipendo da te”. Al contrario, arrivando in ritardo, pone l’altro nella condizione di trovarsi solo ad aspettare e riacquista il potere di farlo sentire in una posizione di svantaggio.

Anche l’aggressività passiva può esprimersi attraverso il ritardo. Per alcuni è difficile esprimere in modo chiaro e diretto la propria rabbia o contarietà verso una richiesta indesiderata, non riescono a dire assertivamente di no, accettano ma poi manifestano larvatamente l’ostilità arrivando tardi ad un impegno o consegnando tardi un lavoro, in modo anche inconsapevole.

Per altre persone, l’ansia e l’insicurezza inducono a posticipare più possibile una situazione che le mette a disagio. L’ansia può riguardare non solo un compito specifico che si teme di affrontare, ma anche lo stesso fatto di rischiare, essendo puntuali, di dover attendere un altro, di vedere che magari non si presenta, di essere in balia del suo arrivo, della sua attenzione, del suo riconoscimento, mentre arrivando in ritardo, c’è la sicurezza di trovare lì. Arrivare sempre in ritardo significa anche mettere alla prova gli altri, vedere se si preoccupano, se ci tengono,  perché “se sono importante, se ci tengono a me, se mi vogliono bene, allora mi aspetteranno”.

Se ci rendiamo conto di essere ritardatari cronici e vogliamo cambiare, è necessario perciò capire il bisogno che mantiene questo comportamento, fermarci a riflettere sul nostro rapporto con il tempo, su cosa ci guadagnamo a fare sempre tardi, su cosa ci permette di ottenere o evitare,  su quale messaggio trasmettiamo attraverso il ritardo e su come poterlo esprimere in modo più funzionale.

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Signorina lei ha bisogno d'affetto

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