28-Sep-19 · Altri articoli
Il senno di poi, un inganno della mente
Il senno di poi ci induce in inganno facendoci credere che un evento fosse prevedibile, quando invece al momento non lo era affatto.
«Ecco, lo sapevo! Lo sapevo fin dall’inizio che sarebbe andata così!», «Sono stato un idiota, avrei dovuto saperlo che quella non era la scelta giusta!», «Pensare che me lo sentivo!», «Con quelle premesse, non poteva che andare così!». Quante volte ci capita di pronunciare frasi come queste? In moltissime occasioni della vita quotidiana, dagli accadimenti più banali alle decisioni più impegnative, soprattutto quando ci troviamo di fronte a un fallimento, torniamo indietro con la mente e, ricostruendo gli eventi, ci diciamo che tutto era altamente prevedibile, chiaro fin dall’inizio, ovvio, e che siamo stati stupidi a non capirlo e a prendere la decisione sbagliata.
In realtà, l’effetto “Lo sapevo!” è noto in psicologia cognitiva con la definizione “errore del giudizio retrospettivo” ed è, appunto, un errore, una distorsione della nostra mente che ci induce in inganno. Per opera di questo meccanismo cognitivo, tendiamo a pensare che un evento fosse prevedibile, una volta che ne abbiamo conosciuto l’esito, quando in realtà al momento non lo era affatto. Si tratta insomma di un’incapacità di ricordare le vere premesse da cui eravamo partiti.
Le informazioni che abbiamo acquisito a posteriori, quando l’evento si è ormai verificato, vanno infatti a modificare irrimediabilmente l’idea iniziale che ne avevamo e non riusciamo più a risalire ai ragionamenti che ci avevano condotto a fare una certa scelta. La nostra mente, utilizzando le informazioni aggiunte dopo, mette in riga i fatti passati, ne seleziona alcuni e ne sfronda altri, li riordina secondo una concatenazione logica fino a farci sembrare inevitabile che da certe premesse e da certe cause scaturissero certe conseguenze, quando in realtà al momento in cui avevamo fatto la nostra valutazione la situazione era molto più complessa, confusa e imprevedibile.
L’errore del “senno di poi” ha una funzione utile, si pensa che serva proprio per liberare spazio nella memoria eliminando le informazioni non accurate in favore di quelle che si sono rivelate più precise: dimenticare quindi quello che non ci serve, e migliorare in futuro le nostre capacità decisionali. Ci dà anche l’illusione di poter comunque prevedere gli eventi, quando spesso invece la realtà sfugge al nostro controllo: una sensazione spiacevole e ansiogena che preferiamo evitare.
Da una parte, l’errore del giudizio retrospettivo, quando ci fa dire (a posteriori, e non prima) «Ecco, lo avevo detto io!», «Io me lo sentivo che sarebbe andata così, visto? », può indurci a sovrastimare le nostre capacità previsionali e ad attribuirci illusoriamente doti particolari o una sorta di “fiuto” o “sesto senso”. Lo sanno bene gli studiosi che si occupano dell’intreccio tra psicologia cognitiva, finanza e imprenditoria e che soppesano il contributo di questa distorsione cognitiva nelle scelte finanziarie e negli investimenti economici.
Ancora più spesso, però – e lo vedo costantemente in psicoterapia – l’errore del “senno di poi” produce autocolpevolizzazione e una visione negativa di sé. Gli errori commessi appaiono ancora più imperdonabili, se si è convinti che fossero evitabili e che si potesse facilmente decidere diversamente. Così ci torturiamo rimuginando e ci attribuiamo una responsabilità esagerata dimenticando gli altri fattori che erano in gioco nel momento originario.
Dalle ricerche fatte nell’ambito delle decisioni imprenditoriali, ad esempio, risulta che chi va incontro a un fallimento, rispetto a chi riporta un successo, distorce il ricordo delle proprie previsioni iniziali, riportandole a posteriori come meno ottimistiche di quanto fossero in realtà, e attribuendo solo alla propria avventatezza un esito fallimentare, come a dire «Sapevo già che sarebbe andata male, perché sono stato così stupido da insistere in quella direzione? È colpa mia».
Sapere che questo fenomeno è una scorciatoia mentale che ci porta a falsare la realtà originaria e a non avere più una visione obiettiva del passato, può aiutarci a ridimensionare la portata delle nostre autorecriminazioni e a smettere di colpevolizzarci anche per eventi che in realtà sono stati determinati anche da altri fattori, o per scelte le cui conseguenze non erano così immaginabili come ora ci appaiono.