21-Jun-19 · Ciclo vitale, eventi e ricorrenze
Depressione a Natale, i motivi del malessere
Il Natale amplifica tristezza, solitudine, conflitti familiari. Accogliere il malessere serve a mettere a fuoco i nostri bisogni.
“Spero solo che passi in fretta”, “Vorrei addormentarmi la vigilia e svegliarmi magicamente il sette gennaio”, “Al solo pensiero del pranzo di Natale mi viene l’angoscia!”: sono queste le frasi che in questo periodo ricorrono nella mia stanza di psicoterapia. È noto che per le persone che vivono già una sofferenza emotiva il periodo natalizio può essere un detonatore che amplifica tristezza, solitudine, dissapori con i familiari. Ma anche per chi non sta attraversando un particolare disagio emotivo, il Natale può rappresentare un evento stressante e carico di significati ambivalenti. A volte lo percepiamo ma non ne siamo completamente consapevoli, altre volte sì, ma non lo confessiamo apertamente perché pensiamo di essere i soli a sentirci tristi mentre il resto del mondo ci sembra godersi felicemente il momento “più bello dell’anno”.
“Le sembrerà strano, dottoressa, ma per me il Natale non è quel periodo magico che è per tutti gli altri”, “Sono particolare, me ne rendo contro!”; quando rispondo che in realtà per molte persone è così, si stupiscono e tirano un sospiro di sollievo: “Ah, meno male, pensavo di non essere normale io!”.
Le feste di Natale sono culturalmente deputate alla felicità e alla celebrazione dell’unione familiare. Tradizionalmente, ci si ritrova con i parenti attorno alla tavola e ci si scambiano doni per rinsaldare legami e affetti. Quella che si riunisce, però, è non di rado una famiglia “artificiale” che non corrisponde alle nostre effettive frequentazioni quotidiane. Tipicamente, ci ritroviamo con parenti che non vediamo mai nel resto dell’anno (e ci sarà un motivo, se non sentiamo mai il desiderio di vederli!), in una sorta di recita familiare in cui di solito ci sentiamo spinti a mostrare il meglio di noi, se non altro per non sfigurare di fronte al cugino plurilaureato o alla cognata chicchissima.
Per chi ha subìto una perdita, un lutto, la fine di una relazione affettiva, il Natale può sottolineare in modo bruciante la mancanza; il confronto con gli anni passati in cui quella persona era con noi è doloroso e avvertiamo un vuoto incolmabile.
Per chi ha un rapporto conflittuale con i familiari, il Natale diventa un banco di prova denso di aspettative, una specie di “Ti aspetto al varco”: “Voglio vedere se i miei stavolta invitano anche quel disgraziato di mio fratello: o lui, o io”; “Sono quattro anni che non passo il Natale coi miei nipotini, o stavolta me li portano, o è guerra”. Problemi cronici che si trascinano inalterati da anni, che però in occasione delle feste natalizie diventano improvvisamente intollerabili perché stridono con il clima di festa, armonia e amore in cui ci “dovremmo” trovare.
Ogni anno ci riproponiamo “Stavolta non faccio regali a nessuno, giusto alle poche persone veramente importanti”, poi puntualmente all’ultimo minuto ci sentiamo in dovere di arraffare qualcosa per la zia che magari poi ci resta male, per il collega che è pure antipatico, però l’anno scorso due cioccolatini ce li ha portati e allora tocca ricambiare, per tutti quelli che “Non ne ho voglia però dai, ‘sta brutto’ se non faccio almeno un pensierino”. Il disagio che in molti percepiamo ha a che fare con il dovere di fingere ciò che non sentiamo autenticamente, in un perverso gioco reciproco in cui ci costringiamo a provare quello che pensiamo gli altri si aspettino da noi, per non deluderli o per non apparire inadeguati.
Di fronte a questi pensieri ed emozioni disturbanti, possiamo davvero tenere duro fino al sette gennaio e provare nel frattempo a distrarci. Però penso sia più proficuo accogliere il nostro disagio, sentire cosa ci dice di noi e della nostra vita, mettere a fuoco il vuoto che sentiamo di più nei giorni di festa e accettarlo, oppure provare a pensare come cambiare. Se il Natale è la festa dei legami affettivi, ricordiamoci che la famiglia è ovunque ci sia calore e reciproco sostegno: un familiare, un amico, un vicino di casa, un collega, uno che non ho mai visto ma quando ci scriviamo stiamo bene, una persona che non c’è più ma che sento lo stesso vicina, un animale. Oppure, perché no, anche solo noi stessi: magari può essere l’occasione per guardarci con più affetto e comprensione e decidere di comprarlo per noi, un regalo.