23-Jun-20 · Ciclo vitale, eventi e ricorrenze
Maturità targata Covid: un limite o una risorsa?
I ragazzi maturandi di quest'anno hanno affrontato una difficile prova di vita dimostrando di essere responsabili oltre le aspettative.
Il 95% dei maturandi si sente insicuro, un 45% addirittura disperato; la maggior parte non riesce a concentrarsi, molti hanno difficoltà a dormire e presentano sintomi fisici di ansia e panico, come tachicardia e senso di soffocamento. I livelli di ansia riferiti nelle interviste dai ragazzi maturandi di quest’anno sono i più alti, mai riscontrati prima d’ora.
La metà di loro non prova gioia al pensiero di chiudere il percorso di studi e si sente molto triste per non averne compiuto l’ultimo tratto insieme ai compagni.
Dominano ansia e confusione, dovute alle conseguenze psicologiche dell’emergenza, alle difficoltà della didattica a distanza e al susseguirsi di notizie incerte e contrastanti. I ragazzi sono disorientati, arrabbiati, malinconici. Temono di non essere preparati a sufficienza, di prendere un voto inferiore alle aspettative, di fare una brutta figura, di vanificare l’impegno degli anni precedenti.
Sono preoccupati per il futuro, temono di essere considerati quelli “della maturità facile” e che questo li penalizzi nelle possibilità di studio e lavoro. Molti hanno rimesso in discussione la scelta della facoltà universitaria, in previsione della possibile necessità di proseguire con la didattica a distanza.
Per mesi hanno studiato senza sapere in che direzione andare e solo a metà maggio hanno saputo che forma avrebbe avuto l’esame. L’eliminazione delle prove scritte è vissuta da una parte come un sollievo, dall’altra come una penalizzazione per chi invece rende bene negli scritti e per chi si trova in imbarazzo nelle interrogazioni orali.
Sapere di giocarsi tutto in un solo colloquio e in una sola prestazione fa salire l’ansia, essendo l’unica occasione di esporre la propria preparazione.
Sarà una prima volta per tutti, sia per i ragazzi che per i docenti, e nessuno sa dare consigli precisi. La peculiarità è proprio l’improvvisa mancanza di quei rituali condivisi che si ripetono da generazioni, che in parte costituivano essi stessi l’esperienza “maturità”, in parte la rendevano più abbordabile, ne sottolineavano la consapevolezza, ne stemperavano le ansie.
Questi ragazzi sentono di aver perso momenti magici come la gita dell’ultimo anno, la festa dei 100 giorni, l’ultima cena coi professori, l’attesa dell’ultima campanella, la notte prima degli esami che era la stessa per tutti. Hanno vissuto l’ultimo giorno senza sapere che sarebbe stato l’ultimo e molti avvertono una sensazione di incompiuto. La preparazione all’esame che di solito è condivisa con compagni e professori è stata vissuta in solitaria, da alcuni con un senso di abbandono.
Ritornare negli spazi della scuola per sostenere l’esame è un primo passo verso la normalità e permette di recuperare almeno un pezzo del rituale della maturità. Per molti ragazzi è una necessità quasi fisica di chiudere un cerchio: rivedere, toccare, salutare i luoghi in cui hanno vissuto la quotidianità per tanti anni e che sono stati lo scenario di amicizie, amori, conquiste, delusioni.
E anche se il rituale dell’attesa tutti insieme fuori dal portone prima della prova è andato perduto, sarà però sempre possibile condividere le emozioni dell’attesa e del “dopo” con qualche compagno, fuori dalla scuola.
Ogni anno all’avvicinarsi degli esami di maturità si riaccendono le polemiche sul senso e l’utilità di questa prova, si obietta che sia un rituale vuoto, obsoleto e che non serva a valutare la maturità dei ragazzi. Quest’anno si sono aggiunte discussioni sull’opportunità o meno di ammettere tutti all’esame e sul rischio che prove facilitate si traducano in una etichetta negativa che resterà addosso a questi ragazzi.
Da un punto di vista psicologico, vorrei condividere qualche riflessione. In questi mesi i ragazzi hanno vissuto un’esperienza che probabilmente più di ogni altro accadimento ha potuto farli riflettere, crescere, diventare grandi. Una situazione straordinaria che ha messo in luce la precarietà e imprevedibilità della vita e scoperchiato il senso di impotenza di tutti.
I ragazzi hanno imparato ad adattarsi, a gestire gli imprevisti in un clima di emergenza. Sono stati bravi, nessuno si aspettava che avrebbero retto al cambiamento imposto così repentinamente, invece sono stati molto più responsabili del previsto.
Le lezioni online sono molto più impegnative di quelle in presenza perché la mancanza dei segnali non verbali rende più difficile la comprensione, richiedono molte energie e sono molto più stancanti. Non tutte le famiglie hanno poi spazi sufficienti, e non tutte le famiglie hanno un pc. Molti hanno dovuto dividersi la strumentazione con i fratelli o i genitori che allo stesso tempo erano a casa in smartworking, molti non hanno avuto uno spazio privato in cui studiare.
Per gli adolescenti la quarantena è stata particolarmente difficile da tollerare, perché il loro cervello si annoia più facilmente, perché hanno un maggior bisogno di spazi personali non invasi da altri familiari, perché sono impazienti di tornare a esplorare e sperimentare, dato che è questo il compito della mente di un adolescente. Ai ragazzi è stato tolto d’improvviso tutto ciò che è importante a questa età: scuola, amici, amore, gruppo, sport, movimento, svago.
Sono saltati tutti gli schemi e le abitudini delle famiglie: sono cambiati orari di sonno e risveglio, spostandosi sempre più in avanti, e così gli orari e le abitudini alimentari, comportando un regime meno salutare per il fisico e poco adatto alla preparazione dell’esame.
Abituati a condividere tutto con i coetanei, si sono trovati senza il loro supporto, senza spazi di decompressione che prima ricavavano fuori casa, in una convivenza continuativa con genitori e fratelli. Alcuni hanno dovuto occuparsi di fratelli minori o di attività domestiche da cui prima erano esentati. Tutti hanno dovuto confrontarsi per la prima volta con adulti a loro volta disorientati, spaventati o francamente travolti psicologicamente dall’emergenza sanitaria.
Essere “diplomati targati Covid” non dovrebbe allora essere un demerito, ma semmai un motivo di riguardo. E se da una parte hanno perso quei momenti magici che attendevano con eccitazione, dall’altra possono avere la consapevolezza di vivere sulla propria pelle un’esperienza che resterà nei libri di storia e di essere un possibile esempio per il futuro.