16-Dec-23 · Ciclo vitale, eventi e ricorrenze
"Anche a te e famiglia!" Psicologia degli auguri di Natale
Il gesto di scambiarsi gli auguri a Natale risponde a un antico bisogno di vicinanza e protezione sociale, ma oggi ha in parte perso il suo significato.
Si è guadagnato decine di meme ironici che circolano sui social network in diverse versioni: è il famigerato “Anche a te e famiglia!”, la classica frase augurale che in questi giorni chissà quante volte abbiamo sentito o pronunciato e che è ormai divenuta l’emblema degli auguri in serie, purtroppo a volte svuotati di significato.
Gli auguri sono un ingrediente immancabile delle festività natalizie ma non tutti li vivono nello stesso modo. Per alcune persone scambiare gli auguri di Natale è un piacere a cui dedicano tempo e attenzione, cercando e scegliendo con cura le immagini e le parole più adatte ad esprimere affetto o altri sentimenti come la gratitudine, o preferendo una telefonata o una videochiamata in cui potersi esprimere maggiormente. Per altre è una consuetudine obbligata a cui assolvono per buona educazione e per non essere considerate strane e insensibili. Per altre ancora è una scocciatura che in più, con l’avvento dei vari video “inoltrati molte volte” che rimbalzano da un cellulare all’altro, intasa pure la memoria del telefono. Per altre rappresenta una pratica ipocrita e svuotata di senso, soprattutto nell’epoca dei messaggi inviati indistintamente a tutti i contatti.
Perché, che ci piaccia o meno, a Natale siamo soliti scambiarci gli auguri? La tradizione di scambiarsi gli auguri deriva dall’antica festività romana dei Saturnali, che aveva luogo dal 17 al 23 dicembre. La celebrazione si riferiva all’insediamento del dio Saturno, preposto all’agricoltura e all’abbondanza. Si credeva infatti che feste, doni e sacrifici offerti al dio permettessero di placarlo e assicurarsi un ricco raccolto. In occasione dei Saturnali, ci si scambiavano auguri e regali. Si trattava perciò di un modo per esorcizzare la paura della carestia nel periodo più buio e freddo dell’anno, in cui la natura è spoglia di fiori e frutti e in passato si affacciavano più facilmente angosce per la propria sopravvivenza.
I rituali che conserviamo anche oggi durante le festività natalizie, come la tavola imbandita o le luci che illuminano case e vie, sono modi per esorcizzare il senso di precarietà e la paura connesse a questa fase del ciclo della natura. Scambiarsi gli auguri rappresenta perciò un modo per essere vicini e risponde alla necessità psicologica di sentire intorno a sé una rete protettiva in un momento in cui ci si percepisce più fragili.
Lo scambio degli auguri natalizi è anche oggi uno strumento di coesione sociale, una pratica che inoltre segue certe regole e in genere avviene in forme e modi commisurati e proporzionali al tipo di relazione tra le persone. Interessanti esperimenti di psicologia sociale hanno evidenziato sia la tendenza a ricambiare gli auguri ricevuti, sia una “mobilità verso l’alto” (inteso come ceto sociale ) degli auguri.
Nello studio, effettuato per la prima volta nel 1976 (P.R. Kunz e coll.) e poi replicato nel 2000 con gli stessi risultati, venivano inviati biglietti d’auguri a 600 nominativi sconosciuti presi a caso dall’elenco telefonico. Un primo risultato fu il gran numero di persone che contraccambiavano gli auguri, pur trattandosi di perfetti sconosciuti. Questo si spiegherebbe con la “regola della reciprocità”, per cui veniamo educati a contraccambiare ciò che ci viene offerto e in questo modo a ristabilire una parità, evitando di sentirci in debito o in una posizione subalterna.
Una variabile interessante analizzata nell’esperimento era lo stato sociale, sia del mittente e del ricevente. Si osservò chiaramente che quando il biglietto era firmato anche con il titolo “Dottore”, rispetto a quando era firmato col solo nome e cognome, riceveva più risposte, e soprattutto da persone di stato sociale più basso. L’ipotesi è che ricambiare gli auguri di persone di ceto più alto, pur se sconosciute, avesse lo scopo di evitare di fare uno sgarbo a qualcuno in una posizione influente.
I due studi, anche la replica più recente, sono stati svolti prima dell’avvento dei social, quando si usava scambiarsi auguri principalmente attraverso biglietti, una modalità per certi versi impegnativa in quanto richiede di uscire, comprare un biglietto, scriverlo, affrancarlo e spedirlo. Ora, con la messaggistica istantanea e con i social network, mandare auguri diventa infinitamente più semplice, potendo raggiungere con un click una platea potenzialmente infinita di destinatari. Alla maggiore facilità, si accompagna però il rischio di una perdita di senso degli auguri, spesso inviati indistintamente a tutti o ricambiati in modo distratto senza una autentica partecipazione. Quante volte ci è capitato di ricevere un messaggio anonimo e impersonale, il classico “Auguri di buone feste a te e famiglia”, o lo stesso video già ricevuto da altre 10 persone senza nessuna parola ad accompagnarlo? E che effetto ci hanno fatto? E noi, che auguri mandiamo e a chi? Che effetto faranno agli altri? Anche questo piccolo gesto apparentemente banale può diventare occasione per sviluppare una maggiore autoconsapevolezza e, perché no, per cominciare a cambiare qualcosa se non ci piace.
Come fare un uso consapevole degli auguri? Intanto, ad esempio, facendo selezione e restringendo il campo a quei destinatari a cui vogliamo davvero augurare qualcosa di bello. Fare gli auguri significa che hai a cuore la vita della persona a cui li fai. Ci interessa sapere come sta quella persona? Ci interessa sapere come sta in queste giornate e come le passerà? Se onestamente non ci interessa, ha più senso evitare.
Cosa pensiamo mentre stiamo pronunciando la parola “auguri”? Cosa stiamo augurando a quella persona? Spesso facciamo gli auguri in modo così automatico che non sappiamo neanche cosa auguriamo: felicità? Amore? Salute? Denaro? Qualcosa di più specifico? Auguriamo ciò che sappiamo desidera, o ciò che vorremmo noi? Conosciamo davvero l’altro? Allo stesso tempo, cosa proviamo nel ricevere gli auguri? Quali ci lasciano indifferenti, quali ci suscitano un sorriso, quali ci deludono, quali attendiamo con trepidazione, di quali non potremmo fare a meno, per quali soffriamo, se non arrivano? Se ci addentriamo in queste domande, ne ricaviamo informazioni preziose sullo stato delle nostre relazioni.
Proviamo a impostare anche questo semplice gesto in modo più autentico. Mandiamo auguri personali, su misura: basta un semplice nome, un “Buon Natale Marco” per far sentire a quella persona che stiamo pensando proprio a lei, più efficace, nella sua semplicità, di un lungo e articolato messaggio copiato e incollato o del video del momento che stupisce con effetti speciali. E se quello che ci arriva non ci piace, ci infastidisce, ci dà l’impressione dell’augurio standard e anonimo e non ci trasmette nulla di positivo, proviamo dolcemente a farlo notare, non rispondendo. Approfittiamo di questa occasione per fare pulizia di ciò che non è per noi, in cui non ci sentiamo riconosciuti e in cui non ci riconosciamo.