27-Jul-24 · Altri articoli
Cambiare nome o cognome: ecco perché si desidera una nuova identità
Vivere con un nome o un cognome scomodi o sgraditi comporta per alcuni un disagio tale da richiederne ufficialmente il cambio.
Quand’ero piccola, verso i cinque o sei anni, ci fu un periodo in cui volevo essere chiamata Paola. «Perché a me piace di più», tagliai corto coi miei genitori, quando scoprirono la cosa ascoltando casualmente la signora delle pulizie – santa donna che, senza battere ciglio, mi aveva assecondata nella mia bizzarra richiesta – chiamarmi così. Mi ero ben guardata infatti dal farlo con loro, temendo forse di dispiacerli e limitandomi ad imporre la nuova regola alle mie amichette e a qualche adulto accuratamente selezionato. Rientrato il problema del nome, poco dopo me la presi col mio cognome e ci fu un altro periodo in cui mi presentavo orgogliosamente come Lucia Montinni, perché, sulla base di non so quale imperscrutabile logica, Montinni mi appariva estremamente più raffinato, prestigioso e altisonante di Montesi.
In seguito mi sono riconciliata sia col mio nome che con il mio cognome, che oggi porto con piacere e in cui mi riconosco, sorridendo di quelle idiosincrasie infantili come capita a molte altre persone. Non è affatto infrequente, infatti, che in certi periodi della propria vita e in particolare in età più giovane, ci si senta insoddisfatti del proprio nome o del cognome, ma crescendo si arrivi poi gradualmente ad accettarli e apprezzarli. Per alcuni, tuttavia, l’insoddisfazione diventa un disagio importante, un’avversione tale che può portare a chiedere di cambiare il nome o il cognome, per motivi molteplici e diversi da una persona all’altra.
Il nome è una parte costitutiva di noi, rappresenta chi siamo, designa il nostro essere una persona specifica e viene di solito scelto con grande cura e attenzione dai genitori. Il cognome rappresenta invece la nostra identità familiare e designa la nostra appartenenza a un gruppo, a una comunità, a una nazione; il cognome dice da dove veniamo, la nostra cultura di appartenenza, le origini.
Ogni anno sono circa 1.500 le persone che inoltrano alla Prefettura la richiesta di sostituzione o aggiunta del nome o del cognome, istanza che deve essere ben motivata e documentata per non essere rigettata. Accanto a queste persone che agiscono concretamente e formalmente per risolvere la causa del loro malessere, ce ne sono altrettante che non se la sentono di fare questo passo ufficiale, ma convivono con nomi e cognomi scomodi e nella vita quotidiana si presentano con un nome diverso, con diminutivi, vezzeggiativi del nome originale o con un nome completamente differente. Alcune persone odiano il proprio nome tanto da odiare i genitori che lo hanno scelto, si sentono in ansia se devono presentarsi col vero nome, lo pronunciano arrossendo o a bassa voce sperando gli altri non lo capiscano, troncano i rapporti con chi si ostina a chiamarle con il nome che detestano. Alcune trovano quel nome adatto per altri, ma assolutamente non corrispondente a sé e alla propria personalità. A volte il rigetto del proprio nome avviene già a 3 o 4 anni e si manifesta con pianto e rabbia costanti e con la pervicace richiesta di essere chiamati in un altro modo.
Chi decide di non procedere alla richiesta per il cambio del nome o del cognome, lo fa principalmente perché teme di dispiacere i propri familiari con un gesto che potrebbe essere visto come un rifiuto o un tradimento. Altri, pur facendosi chiamare abitualmente con un altro nome, non se la sentono di fare un passo definitivo. Altri ancora sono scoraggiati dalle procedure burocratiche necessarie o sanno già che le motivazioni per cui vorrebbero effettuare il cambio sarebbero considerate insufficienti.
I motivi per cui si decide di cambiare nome o cognome sono vari, Il cambio del cognome paterno è chiesto soprattutto da figli maggiorenni che non sentono nessun legame affettivo con un padre maltrattante o assente e vogliono recidere ogni rapporto, oppure prendere le distanze da un genitore o una famiglia con una cattiva fama per aver commesso reati o per altri eventi che ne hanno macchiato l’onorabilità. Una richiesta frequente é quella di aggiungere al proprio cognome anche quello materno, per motivi affettivi, economici, morali, in conseguenza di una figura paterna percepita come assente o indegna. Un cognome o un nome possono causare sofferenza o far sentire costantemente in imbarazzo perché buffi e beffeggiati dagli altri fin dall’infanzia. Un nome può essere rifiutato perché associato a persone da cui non si è ricevuto affetto, perché imposto da altri familiari (di solito i nonni) contro il volere dei genitori, perché troppo originale o al contrario troppo banale. Per alcuni rifiutare il nome, soprattutto nella tarda adolescenza, è un modo per contrapporsi a dei genitori a cui si ribellano totalmente. In altri casi, più semplicemente, un nome particolare e inusuale può essere frainteso, storpiato dagli altri e comportare frequenti problemi burocratici.
Chi porta un nome o un cognome scomodi teme anche che ciò si ripercuota sul giudizio degli altri e comporti potenziali conseguenze negative, come una minore credibilità, minori opportunità professionali. In effetti è provata da diversi studi l’esistenza di pregiudizi sul nome proprio, tanto che un nome più comune viene associato dagli altri a maggiore affidabilità e altre caratteristiche positive rispetto a un nome più particolare, fino a comportare giudizi migliori a scuola o più probabilità di essere chiamati per un colloquio di lavoro. L’ipotesi di un “determinismo nominativo” per cui il cognome possa influenzare la vita di chi lo porta, ad esempio la professione scelta (Bega per chi diventa avvocato, Aiuti per chi fa l’infermiera, De Santis per chi diventa sacerdote…) è stata avanzata da più studiosi. Secondo lo psicologo Casler la relazione tra cognome e professione può essere dovuta a tre fattori: le aspettative inconsce che noi abbiamo su noi stessi in base al nostro cognome, le aspettative che gli altri hanno su di noi in base al nostro cognome, oppure una componente genetica che, insieme al cognome, tramanda anche certe qualità e attitudini.
La legge consente di cambiare il nome o il cognome se ridicoli o vergognosi, se rivelano l’origine naturale (ad esempio, il cognome Esposito dato a bambini abbandonati), se in via d’estinzione, per questioni religiose e altri casi eccezionali. Anche se un nome apparentemente non ha nulla di ridicolo o sgradevole, o anzi appare addirittura bello e desiderabile, potrebbe però avere per quella specifica persona un significato particolare o rappresentare un’eredità che non vuole accettare. Se la sofferenza che ne deriva è provata e documentata, la richiesta può venir accettata. L’iter burocratico necessario può essere percepito come un limite e un’inutile scocciatura ma rappresenta anche una tutela rispetto a decisioni avventate, in quanto il cambio del nome e del cognome, anche quando fortemente desiderato, rappresenta comunque uno strappo significativo rispetto all’identità precedente e può richiedere un lungo periodo di adattamento.