23-Aug-20 · Comunicazione e relazione interpersonale
"Bisogna passarci, per capirlo", non sempre è vero
Si pensa erroneamente che aver vissuto una certa esperienza renda automaticamente capaci di capire e aiutare altri con lo stesso problema.
«Solo se lo vivi sulla tua pelle puoi capirlo»; «Se non ci passi, non puoi capire»; «Che ne sai tu, che non ci sei passato?»; «Mi ha compreso perfettamente, si vede che anche lui l’ha vissuto», o, al contrario, «Mi ascoltava in modo freddo…si vede proprio che non ha mai passato quel che passo io». Quante volte sento dire frasi come queste, soprattutto nel mio lavoro negli ospedali, dove incontro persone che fronteggiano stress molto intensi come malattie gravi o lutti.
È opinione comune che il fatto di aver vissuto in prima persona una certa esperienza renda più sensibili, più accorti, più capaci di comprendere altri che hanno affrontato o stanno affrontando la stessa situazione. Si pensa che questo renda più empatici e anche più capaci di dare sostegno, conforto o suggerimenti utili. D’altra parte, c’è la convinzione che chi non ha sperimentato sulla propria pelle alcune problematiche, da quelle più comuni, come l’essere genitore, ad altre più particolari, come certi eventi di vita drammatici, non possa mai essere in grado di comprendere appieno il vissuto, le difficoltà, il dolore di chi invece le vive: ci sarà sempre uno scarto incolmabile che impedirà di essere veramente partecipe e di aiuto.
In realtà non sempre tutto questo è vero. Ho in mente tutte le occasioni in cui le persone mi hanno raccontato il loro stupore e la loro amarezza, spiazzate dal comportamento di chi credevano particolarmente vicino per la condivisione della stessa esperienza: «Non avrei mai pensato che mi trattasse così…eppure, anche lei ha avuto la mia stessa malattia. Mi aspettavo più comprensione!»; «È stato di un’insensibilità…e pensare che anche lui ha un figlio con gli stessi problemi del mio!»; «C’è passato pure lui, pensavo lo rendesse più umano, invece è stato crudo…mi ha fatto male». Può accadere infatti che ritrovare in un altro una propria esperienza, soprattutto se dolorosa, non attivi una maggior empatia, ma anzi faccia scattare un’angoscia da cui ci si difende distaccandosi emotivamente, diventando più freddi, allontanandosi in vario modo, tagliando corto, o aggredendo.
Così, proprio laddove si potrebbe avere il massimo della vicinanza, si finisce paradossalmente per avere invece l’opposto, una distanza ancora più accentuata e che stride ancora di più, perché non te la aspetti, come potresti aspettartela da chi non ci è passato.
Un’altra considerazione. Chi ha vissuto un’esperienza difficile, a volte decide di dedicarsi al volontariato per aiutare altre persone con lo stesso problema. Si sente forte del fatto di averlo vissuto e di poter dare una testimonianza diretta, e si ritiene più capace di essere d’aiuto proprio per averlo affrontato in prima persona. Allo stesso tempo, molti di quelli che vivono una situazione difficile o dolorosa cercano condivisione e conforto in chi ha passato la stessa esperienza. Certamente l’aver attraversato quell’esperienza può dare risorse e strumenti utili per aiutare un altro, ma presenta anche dei rischi. Il pericolo più comune e più frequente è che chi ci è già passato proponga all’altro il proprio modo, le proprie strategie di fronteggiamento, quelle che ha sperimentato e che per sé si sono dimostrate utili, come le uniche o le più efficaci, ma che possono essere inadatte o lontane dallo stile di fronteggiamento dell’altro. L’esperienza vissuta conferisce poi una certa sicurezza (“so bene di cosa parli, non occorre neanche che me lo spieghi”) che può portare a una minor prudenza, una minor attenzione e in definitiva – contro ogni aspettativa – a un minor ascolto dell’altro.
D’altra parte, non è necessario aver vissuto qualcosa per comprendere o aiutare un altro che la sta vivendo. L’empatia è la capacità di mettersi nei panni dell’altro, di sentire quello che lui sente. Possiamo non aver vissuto direttamente quell’evento, ma abbiamo tutti una qualche esperienza delle emozioni universali che un evento doloroso suscita: perdita, paura, impotenza, rabbia, colpa, vergogna…In qualche misura tutti siamo costretti dalle circostanze dell’esistenza a incontrarle. Se possiamo riconnetterci con le nostre personali esperienze dolorose, possiamo empatizzare con qualunque dolore dell’altro.