12-Jun-20 · Comunicazione e relazione interpersonale
Il gioco del silenzio: esercitarsi a stare in ascolto
Esercitarsi al silenzio permette di allenare l'autocontrollo, l'osservazione e il rispetto dell'altro.
Mai come in questi giorni di fermento politico, in cui assisto – soprattutto sui social – a scontri che definirei barbarici tra opposte fazioni, a colpi di offese, insulti, opinioni urlate, sfoggi di saccenza di ampiezza proporzionale ai relativi baratri di ignoranza, mai come in questi giorni, dicevo, ho desiderato il silenzio. Quanto ci farebbe bene esercitarci col vecchio gioco del silenzio, ho pensato più volte. Il gioco originale, però.
Da piccoli, a scuola, lo abbiamo fatto tutti. Era il modo con cui l’insegnante riportava la calma nella classe irrequieta o la teneva a bada se per qualche minuto doveva assentarsi. Uno aveva il compito di controllore, pronto a segnare alla lavagna chi avesse trasgredito alla regola di stare in silenzio. Si chiamava gioco del silenzio ma, effettivamente, del gioco aveva ben poco. Aveva più a che fare, semmai, con la punizione e la penitenza. Favoriva l’autocontrollo, sì, nel tentativo di essere meno rumorosi possibile, ma con lo scopo di evitare una punizione, o al massimo di vincere la competizione con i compagni smascherando il colpevole di turno.
Il gioco del silenzio è stato introdotto da Maria Montessori, ma aveva in origine tutt’altro fine. Tra l’altro, lei lo aveva chiamato “lezione” del silenzio, termine che evoca una certa austerità, e invece quello che lei proponeva era davvero un “gioco”, molto più della versione modificata che successivamente abbiamo conosciuto tutti noi.
Per la Montessori, il silenzio ha valore pedagogico ed è anche un’esperienza di piacere. Non viene imposto, è piuttosto un invito a cui i bambini possono avvicinarsi con curiosità, esplorandolo e scoprendone i vantaggi: ad esempio, che nel silenzio si possono percepire suoni e rumori che normalmente non sentiamo, come i rumori della natura, il respiro, il battito del cuore. Stare in silenzio richiede uno sforzo di attenzione e di volontà anche per controllare i propri movimenti, per rallentarli o renderli più aggraziati, così allena alla consapevolezza del corpo e all’autocontrollo.
Fare silenzio significa rispettare gli altri e prepararsi a ricevere, rendendo possibile l’ascolto; fa scoprire il piacere di ascoltare le parole degli altri, oltre a quello di dire le proprie.
Il gioco del silenzio, in questa accezione originale, viene spesso suggerito ai genitori che vengono invitati a usarlo in casa, nella vita quotidiana anche al di fuori della scuola, perché è un modo eccellente per aiutare i bambini a sviluppare l’ascolto di sé stessi, la consapevolezza interiore, la capacità di attesa, il rispetto degli altri.
Ma anche noi adulti faremmo bene ad esercitarci all’esperienza del silenzio, il nostro e quello degli altri, superando pregiudizi e timori. Il silenzio può inquietare perché fa risaltare i nostri pensieri ed emozioni senza la distrazione o la copertura di ciò che accade intorno, e invece noi a volte temiamo l’incontro con noi stessi. Il silenzio dell’altro può metterci in difficoltà perché lo viviamo come rifiuto, ostilità, distacco; può imbarazzarci e spingerci a riempirlo per allentare la tensione. Facciamo fatica a vederlo come raccoglimento o riflessione; non apprezziamo l’eventualità che il silenzio dell’altro significhi che si sente così libero e a proprio agio da permettersi, appunto, di stare in silenzio insieme a noi. Le persone che parlano molto sono di solito percepite socialmente in modo migliore rispetto a quelle silenziose: di una persona silenziosa si pensa che sia probabilmente anche timida, introversa, o insicura, o annoiata, poco interessata, o che non sappia cosa dire, attribuzioni che possono essere totalmente errate. Allo stesso tempo, di una persona che parla con facilità si pensa anche che sia sicura, estroversa, intelligente, comunicativa. In realtà, potrebbe parlare molto proprio per non dire niente, oppure, per dirla con J.P. Sartre, “Sicuramente parlava per impedirsi di pensare”.