17-Jul-21 · Comunicazione e relazione interpersonale
"Ho Whatsapp, dunque esisto": effetti della messaggistica sulle relazioni
La messaggistica istantanea offre indubbi vantaggi, ma alimenta pretesa e sospetto e distorce la comunicazione
Ultimamente, per una ventina di giorni non ho potuto utilizzare Whatsapp, né la rubrica telefonica. Per una fortuita coincidenza, nello stesso periodo sono anche rimasta qualche giorno reclusa in casa per malattia. Nell’isolamento quasi totale, ho avuto modo di apprezzare l’insolita pace da santi in assenza delle continue notifiche dei messaggi. Ma ero, ahimè, beatamente ignara dell’inferno che nel frattempo si stava scatenando sul mio Whatsapp e che mi avrebbe puntualmente assalito appena reinstallata l’applicazione: una mitragliata di messaggi, la maggior parte indispettiti dalla mia mancata risposta, offesi dalla mia maleducazione, delusi dalla mia scorrettezza professionale! Dico io, mi mandi un messaggio, vuoi controllare se l’ho letto? Vedi che c’è ancora una spunta sola dopo parecchio tempo…se è importante, vuoi provare a fare quella vecchia cosa superata, quella roba lì, che facevamo tutti una volta: una telefonata? Vuoi pensare che potrei non poter rispondere? Che potrebbe anche essermi accaduto qualcosa di grave? No, vai a pensare che ti ho bloccato, senza nessuna ragione plausibile.
Comodo, veloce, permette di essere sempre in contatto con tutti, offre anche grandi vantaggi alle persone più timide che si aprono maggiormente alla comunicazione, potendo aggirare ciò che dal vivo le mette in difficoltà. Whatsapp è senza dubbio uno strumento utilissimo che ha cambiato e agevolato tanti gesti quotidiani. D’altra parte, è diventato una creatura che vive ormai di vita propria: se non hai Whatsapp, non esisti più. Grazie alla possibilità di inviare immediatamente non solo messaggi ma anche immagini, emoticons, fotografie e video, Whatsapp dà l’illusione di realizzare una comunicazione ricca, completa ed efficace.
In realtà, è una comunicazione carente e spesso a senso unico. Whatsapp permette di evitare la fatica e il rischio del dialogo e del confronto immediati con l’altra persona: mentre scrivo, non devo sostenere lo sguardo dell’altro, le sue emozioni che traspaiono dal viso o dai gesti, il rischio di un contraddittorio immediato. L’altro diventa solo il destinatario finale di ciò che faccio o disfo per conto mio, e poi invio.
Posso chattare mentre sto facendo altro, dedicando un’attenzione scarsa o frammentaria sia alla conversazione, che a ciò che sto facendo. Tutto avviene velocemente: per non apparire sgarbato lasciando l’altro senza risposta, posso ricorrere a una faccina che funga da surrogato. Nella fretta, posso chiudere una conversazione impegnativa con un semplice pollice alzato piuttosto che fermarmi a produrre un pensiero più articolato.
I miei pazienti fanno spesso riferimento a Whatsapp quando mi parlano dei loro problemi: «Litighiamo sempre perché lei passa le ore su quella maledetta chat dei compagni della scuola elementare», «Mia moglie controlla ossessivamente i miei accessi e mi accusa di avere altre con cui chatto», «Mi ha bloccato su Whatsapp, non sarà una strategia per farsi desiderare?», «Ha nascosto l’ultimo accesso: ecco, ha qualcosa da nascondere». I fraintendimenti dovuti alla limitatezza dei messaggi sono il problema più frequente, portando addirittura alla rottura della relazione. Ma soprattutto, Whatsapp alimenta all’ennesima potenza i dubbi e le insicurezze delle persone gelose e ossessive. Permette di controllare e di avere informazioni su vari comportamenti dell’altro ed è una tentazione irresistibile per chi ha bisogno di trovare conferme, innescando però tormenti e paranoie che avvitano in una spirale infernale: la rassicurazione è solo momentanea e subito ripartono nuovi dubbi angoscianti.
Nella coppia, la pretesa che l’altro sia immediatamente disponibile e risponda tralasciando tutto il resto è massima, ma lo stesso accade tra amici, tra semplici conoscenti e tra estranei. Chiunque può contattarti anche nel pieno della notte, senza porre nessun freno e limite alla propria urgenza, e poi esigere una risposta rapida e magari accusarti di maleducazione o insensibilità, se non ti affretti a rispondere. Sia con le persone care, che con gli estranei, Whatsapp alimenta pretesa e sospetto: dal momento in cui compare la spunta blu, mi aspetto che l’altro risponda, e se non lo fa, difficilmente penserò che forse sono stato inopportuno, che forse è impegnato, che forse è in ferie, che forse è malato. Le spiegazioni sono infinite, ma è molto più probabile che penserò che non ha risposto di proposito, che si è infastidito, che non sono importante: l’attesa non è tollerabile e si trasforma in ansia, destabilizza il nostro umore; recriminazioni e polemiche sono sempre dietro l’angolo. Dall’altra parte, chi riceve il messaggio si sente in dovere di rispondere, è condizionato e non libero di agire come realmente sente e vorrebbe.
Fino a qualche anno fa, le persone che volevano un appuntamento mi telefonavano. Ora scrivono su Whatsapp e, a parte i pochi che si limitano a chiedere per fissare giorno ora, pretendono di sfogarsi e di avere risposta immediata, di poter fare un vero e proprio colloquio psicologico (anche gratuito…) lì per lì, senza che io sappia neanche chi c’è dall’altra parte, senza sentire la voce, sapere se è un adulto o un bambino, uomo o donna, intuire dalla voce se è sofferente, e infinite altre informazioni essenziali.
Certamente i vantaggi di Whatsapp sono enormi, però ogni tanto ci farebbe bene fermarci a riflettere su quanto modifichi anche il nostro modo di essere in relazione con gli altri. Il rapporto umano reale, con la mimica facciale, la voce, l’immediatezza e l’improvvisazione, resta insostituibile. Dobbiamo coltivare la capacità di attendere senza cadere nella trappola dell’ansia e rinunciare alla pretesa del controllo della relazione, accettando il rischio della libertà dell’altro.