26-Jun-19 · Comunicazione e relazione interpersonale
Stammi a sentire! Come imparare la difficile arte di ascoltare
L' ascolto efficace prevede accorgimenti per migliorare il contatto con l’altro, farlo sentire compreso e aiutarlo a trovare da solo una soluzione.
“Dio ci ha dato una sola bocca e due orecchie per ascoltare almeno il doppio di quanto diciamo”: questo eloquente proverbio sintetizza in modo efficace l’importanza dell’ascolto nella comunicazione. Tutti crediamo di essere bravi ascoltatori: in fondo, che ci vuole ad ascoltare? Sembra una faccenda senz’altro più semplice che parlare. Nella realtà le cose non vanno proprio così, basta pensare a quante volte sentiamo la lamentela «Nessuno mi ascolta!» . Quando siamo noi ad aver bisogno di essere ascoltati, ci accorgiamo di quanto siano rare le persone davvero in grado di farci sentire accolti e rispettati. Perché l’ascolto dell’altro è un’arte difficile e non è semplicemente sentire: chi parla deve avvertire la percezione di essere incoraggiato, compreso, non giudicato.
L’ascolto attivo
Thomas Gordon ha introdotto l’espressione “ascolto attivo” per indicare quel tipo di ascolto empatico che non si limita a ricevere passivamente ciò che l’altro dice, ma usa degli accorgimenti per migliorare il contatto con l’altro, per farlo sentire compreso nelle sue idee e nei sentimenti, per incoraggiarlo ad esprimersi, e infine per aiutarlo a trovare una propria personale soluzione al problema. Alcune strategie permettono di esercitare un ascolto efficace:
- Il silenzio: stare in silenzio è il primo passo per dare spazio all’altro. E’ un silenzio interiore ed esteriore che permette all’altro di esporre senza essere interrotto. Sembra una raccomandazione ovvia, ma in realtà facciamo fatica a stare in silenzio mentre l’altro ci parla di un suo problema perché siamo continuamente tentati di intervenire con suggerimenti o con richiami alla nostra esperienza personale. In questo modo distogliamo però l’attenzione dall’altro a noi stessi e questo non è ascoltare. Il silenzio permette di sintonizzarci sulle parole dell’altro e sulle sue emozioni, che traspaiono dalle parole, dal volto, dal tono della voce.
- I cenni di accoglimento: sono quei segnali con cui facciamo sentire a chi parla che siamo presenti, che lo ascoltiamo e lo incoraggiamo ad esprimersi. Il nostro sguardo concentrato su di lui, un sorriso, un cenno del capo per assentire, o espressioni facilitanti come «Vai avanti…Ti ascolto…Capisco…»: si tratta di interventi molto semplici che hanno un grande potere di far sentire all’altro il nostro interesse, il fatto che in quel momento ci dedichiamo interamente a lui e che non lo stiamo giudicando. Molte persone dicono «Vai vai, ti ascolto», mentre il loro comportamento non verbale trasmette tutt’altro: guardano altrove, si voltano continuamente, o si percepisce la loro impazienza di dare la propria soluzione.
- Riformulare: significa ripetere con altre parole ciò che l’altro ha detto. Dire ad esempio «Quindi mi stai dicendo che…» fa sentire all’altro che lo stiamo davvero ascoltando, che siamo interessati al suo problema, che lo stiamo comprendendo, inoltre permette di aver un feedback sul nostro livello di comprensione. Il potere della riformulazione è sorprendente: Rosemberg, nei suoi studi sulla comunicazione non violenta, dimostra che il tempo necessario a risolvere un conflitto si dimezza quando ciascun negoziatore, prima di rispondere, ripete ciò che il suo interlocutore ha detto. Accade perché quando sentiamo che il nostro messaggio è stato ascoltato, cominciamo a rilassarci e siamo più disponibili ad ascoltare gli altri.
- Riflettere i sentimenti: un altro accorgimento prezioso è tradurre in parole i sentimenti che cogliamo in chi parla. «Mi sembra che tu sia arrabbiato», «Immagino che sia stato difficile per te»: questo permette all’altro di sentirsi non solo ascoltato nei contenuti, ma anche compreso e accolto nel proprio stato d’animo. Ogni volta che ci troviamo in difficoltà nella comunicazione, ci arrivano rabbia o chiusura, oppure sentiamo che stiamo entrando in conflitto, ascoltare e riflettere i sentimenti dell’altro aiuta a riaprire il canale comunicativo e ad alimentare la fiducia reciproca.
- La soluzione del problema: ecco la parte più difficile. Siamo tentati di dare la nostra soluzione, quella che ha funzionato meglio per noi e che la nostra esperienza ci suggerisce. Ci viene da dire «Ma perché non fai così…», o «Io al posto tuo…», ma, appunto, non siamo noi al posto suo. Quando il consiglio che una persona ci chiede non prevede una risposta tecnica e univoca, ma riguarda scelte personali e soggettive, dare una soluzione preconfezionata è spesso fallimentare. L’aiuto migliore che possiamo dare è invece incoraggiare l’altro a trovare da solo una soluzione, attraverso domande aperte come «Cosa pensi di fare?», «Cosa ti piacerebbe?», «Quali alternative hai? Quale preferiresti?», «Cosa vorresti cambiare?», «Cosa/chi può aiutarti a…?», «Cosa ti impedisce di…?», «Cosa ti preoccupa di più?». In questo modo aiutiamo la persona a riflettere da sola e ad arrivare a una soluzione adatta a sé. Quando diamo noi una soluzione, impoveriamo la persona davanti a noi, e rischiamo anche che torni arrabbiata, perché la soluzione non ha funzionato. Questo succede perché le nostre soluzioni partono dai nostri vissuti, che non possono mai essere gli stessi dell’altro. L’altro non ha bisogno dei nostri consigli (anche se dice il contrario), ma di essere incoraggiato a usare il suo pensiero: la soluzione non deve piacere a noi, ma a chi la cerca, e se anche dovesse essere sbagliata, intanto la persona avrà imparato il meccanismo del pensiero attivo, che potrà usare ogni volta che dovrà prendere una decisione.