10-Oct-20 · Corpo e malattie organiche
Ansia di un nuovo lockdown, come gestirla
Prepararsi, organizzarsi, sfruttare l'esperienza passata ed essere responsabili in prima persona: ecco come arginare l'ansia di una nuova chiusura.
«E se chiudono tutto un’altra volta?», «Mi sta venendo l’ansia di un altro lockdown», «Se ci rinchiudono di nuovo, stavolta non ce la faccio, impazzisco, non lo posso affrontare!»: sempre più spesso negli ultimi giorni sento pronunciare queste parole, di pari passo con le notizie dell’aumento dei contagi da coronavirus. Sempre più persone manifestano la preoccupazione di dover subire un altro lockdown, con tutte le possibili ripercussioni negative. Molti rievocano ciò che, nei mesi scorsi vissuti in quarantena, li aveva provati maggiormente: le perdite economiche e i rischi per la propria attività lavorativa, la lontananza dai propri familiari e amici, l’impossibilità di dedicarsi ad attività sportive e di svago, le difficoltà della didattica a distanza, il disagio del trovarsi all’improvviso confinati in casa con familiari con problematiche o disturbi di varia natura.
Che fare per gestire l’ansia legata allo spettro di un nuovo lockdown? «Non posso pensare di rivivere di nuovo quella situazione, è stata un incubo…mi rifiuto!» è la frase che mi sento dire più frequentemente, e che mi ricorda molto ciò che accade in una situazione apparentemente molto diversa: quando i miei pazienti oncologici, di cui mi occupo quotidianamente in ospedale, si confrontano con la paura di una recidiva di malattia e con l’eventuale necessità di nuove cure, sperimentando rabbia, paura, impotenza. In entrambi i casi, anche se non paragonabili per tanti motivi, c’è comunque la percezione di qualcosa che devi subire, che ti viene imposta, che hai già vissuto e che, proprio perchè sai che è stata durissima, pensi di non poter reggere di nuovo. Scattano anche il rifiuto e la ribellione: «No, non potete chiedermi questo!», «Basta, stavolta faccio come mi pare!». In realtà, tutti quelli che poi purtroppo si trovano davvero ad affrontare un ritorno della malattia, si scoprono più capaci di reggerne lo stress di quanto immaginavano e si accorgono che poi, nel momento della necessità, emerge da se stessi una forza che temevano di non avere. Quasi tutti coloro che si trovano ad affrontare di nuovo un grave stress già vissuto, confermano che si attiva una capacità di adattamento impensata.
Un aspetto frequente dell’ansia è anche fantasticare sugli aspetti che più ci spaventano ma in modo vago e generico, restando preda dell’emozione e senza approfondire nel dettaglio i possibili problemi e anche le possibili soluzioni. «Non ci voglio neanche pensare! Cerco di scacciare il pensiero!» è il commento più frequente, di fronte al timore di un nuovo lockdown che si riaffaccia e provoca ansia o persino panico, ma pensarci e andare a fondo può essere una strategia che invece ci aiuta a ridimensionare l’ansia. Pensarci significa ricordare come abbiamo già affrontato qualcosa di simile e quali risorse abbiamo usato o, ancora meglio, scoperto di avere per la prima volta; pensarci significa prepararsi e organizzarsi e in questo modo recuperare almeno in parte un controllo sulla situazione, e percepire di avere un controllo o un potere di solito permette di arginare l’ansia. Una signora con cui parlavo qualche giorno fa, mi diceva che il lockdown è stato inaspettatamente terribile per lei, che in un piccolo appartamento senza balcone e giardino, si è sentita prigioniera, sperimentando un malessere che non aveva messo in conto. Se dovesse ripresentarsi la stessa situazione, ha già deciso che lo trascorrerà nell’abitazione di un familiare, e questo la aiuta a tollerarne la prospettiva.
Il fatto di aver già vissuto la stessa situazione, da un lato può spaventarci di più, perchè sappiamo a cosa andiamo incontro, dall’altro ci permette un maggiore controllo di ciò che accade. Il primo lockdown è stato la prima esperienza del genere per tutta l’umanità dell’intero pianeta, qualcosa di mai sperimentato, vissuto nella totale incertezza. Oggi ne abbiamo conoscenza, sappiamo cosa comporta, che possiamo tollerarlo, e soprattutto che è stato utile per arginare drasticamente i contagi e permettere al sistema sanitario di decongestionarsi: un sacrificio pesante, ma necessario ed efficace.
Il problema principale che sto osservando è però lo scollamento tra percezione del lockdownn e percezione del virus e delle misure di contenimento. Molti di coloro che temono e sono in ansia per un altro lockdown, non lo sono altrettanto per il virus, non temendo il contagio né per sé né per altri. La misura del lockdown è vissuta perciò come un’imposizione più o meno arbitraria, e non come la logica conseguenza dell’andamento dei contagi e della pericolosità del loro aumento. Ancora più labile è la percezione del collegamento tra rischio di un nuovo lockdown e propria responsabilità individuale nell’applicare le norme di contenimento. Molti si disperano all’idea di un nuovo lockdown e mi chiedono come gestire quest’ansia, e me lo chiedono tenendo la mascherina sotto il mento (passo gran parte della mia giornata a ripetere a chi ho di fronte di indossarla correttamente), o venendomi addosso senza rispettare la distanza, o postando il giorno dopo sui social foto di cene con trenta amici stipati all’interno di ristoranti, con annessi abbracci e baci senza mascherina. Un comportamento “schizofrenico” su cui credo sia importante riflettere.
Tra molte incertezze, una cosa è però ormai certa: per diminuire i contagi e quindi il rischio di un nuovo lockdown, abbiamo una regola da seguire, semplice e fattibile, quella delle tre M, ovvero Mascherina-igiene delle Mani- Metro di distanza. Questo è ciò che è in nostro potere fare ed è realmente efficace, perciò, piuttosto che perderci nell’ansia, cominciamo a farlo per bene, senza cercare alibi («Eh ma a me la mascherina dà fastidio», «Eh ma io sono allergico alla mascherina», «Eh lo so, tengo il naso fuori ma così sto meglio!» e tutto ciò che inizia con «Sì, ma io…») senza sminuire i rischi («Eh, ma dai, in fondo ci conosciamo tutti e sappiamo che stiamo bene, la mascherina non serve»), e soprattutto senza spostare la responsabilità su altri. Anzi, se gli altri non rispettano le regole, usiamo il potere che abbiamo per indurli a farlo: se nostro figlio non indossa la mascherina, diamoci da fare per fargliela indossare; se un nostro familiare anziano non ha capito come comportarsi perchè disorientato dalle informazioni contrastanti, diamogli le informazioni corrette; se al ristorante il personale non indossa la mascherina, denunciamo a carabinieri, polizia o vigili urbani perchè venga applicata la sanzione prevista. Se ognuno fa responsabilmente la propria parte, ne trarremo tutti un beneficio.