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12-Apr-22 · Corpo e malattie organiche

Non riuscire a perdere peso: perchè è così difficile dimagrire?

I motivi per cui le diete dimagranti falliscono hanno a che fare soprattutto con l'atteggiamento mentale.

Molte persone si trovano a intraprendere nel corso della vita una o più diete dimagranti, fai-da-te o con la guida di un professionista. Altrettante, sperimentano il fallimento di una dieta e la difficoltà di perdere peso o di non riacquistarlo.

I motivi che le persone riportano per spiegare il fallimento della dieta chiamano in causa principalmente una dieta inadeguata, i ritmi di vita che non consentono di mettere in pratica il programma stabilito, uno scarso aiuto da parte di familiari e partner. Da un lato, è vero che non tutti i professionisti elaborano diete personalizzate, ritagliate su misura del singolo soggetto, tenendo conto del suo contesto di vita e dell’effettiva possibilità di cucinare certi piatti o reperire determinati alimenti. A parte questi casi, tuttavia, la maggior parte dei motivi per cui una dieta fallisce ha a che fare soprattutto con l’atteggiamento mentale della persona.

La motivazione con cui si intraprende la dieta è il punto cruciale. Molte persone iniziano una dieta senza un’intima convinzione, ma per accondiscendere alle pressioni di altri: familiari, partner, medici, la società stessa. I benefici di una dieta sono evidenti a tutti, da un punto di vista razionale: minor rischio di patologie, maggiore facilità nel compiere attività quotidiane, un’immagine più gratificante ecc. Spesso li sento riferire dai miei pazienti in maniera meccanica, stereotipata, ma ad un’ analisi più approfondita, emerge che l’interesse a raggiungere quell’obiettivo non è così veramente sentito, non ha radici profonde e autentiche. Piuttosto, va cercata con ciascuno la motivazione che veramente fa presa e permette di attivare tutte le energie e che può essere anche molto diversa da quella che all’esterno potrebbe sembrare più plausibile. Una signora obesa e malata di cancro potrebbe essere fortemente spinta dai familiari a dimagrire per le conseguenze del sovrappeso sulla malattia, ma non riuscire ad attivarsi, e invece trovare la forza di farlo facendo leva su una sua più autentica motivazione, come, ad esempio, potersi muovere più agilmente per prendersi cura dell’amata nipotina.

Molti abbandonano la dieta dopo i successi iniziali perchè non vedono più risultati rapidi come nelle prime settimane e si scoraggiano. Una dieta comporta tipicamente delle fasi che tutti attraversano, con fluttuazioni emotive che è importante conoscere in anticipo, proprio per mantenersi saldi nei propositi e non lasciarsi influenzare. Alla fase iniziale di “luna di miele” in cui il peso scende rapidamente e ci si sente piacevolmente stupiti, carichi, ottimisti sulla riuscita del percorso, subentra sempre una fase in cui la perdita di peso rallenta, provocando frustrazione e la caduta dell’illusione di una rapida soluzione. Sapere che questo accade sistematicamente, può aiutare ad essere pronti e non lasciarsi scoraggiare, accettando che ci vorranno tempo e costanza. Nella fase successiva di mantenimento occorre imparare a gestire gli eventuali sgarri senza cadere nel pensiero “tutto o nulla”, e infine, una volta raggiunto l’obiettivo del dimagrimento, il compito psicologico è gestire la paura del futuro e di non riuscire a mantenere il risultato.

Alcune caratteristiche cognitive rendono più difficile seguire una dieta. Uno scarso senso di autoefficacia fa sentire incapaci e porta a non avere fiducia in se stessi e nella possibilità di iniziare o proseguire una dieta (“Tanto non ce la farò mai); un “locus of control esterno” induce ad attribuire a cause esterne ciò che accade e a non sentirsene responsabili in prima persona, sia per i successi che per gli insuccessi, portando al fatalismo e alla passività, nella convinzione che tanto ciò che accade non dipende da sè; un pensiero del tipo “tutto o nulla” porta a credere che se faccio una sgarro, allora ho fallito completamente e non ha senso continuare la dieta.

Secondo alcuni studi, le persone obese avrebbero un deficit delle funzioni esecutive che regolano i comportamenti impulsivi e la pianificazione, non riuscendo a posticipare la gratificazione immediata di un cibo allettante in vista di un beneficio a lungo termine e a pianificare dei passi per arrivare infine a un obiettivo. Chi mangia in eccesso sembra inoltre avere un’alterazione del neurotrasmettitore dopanima che induce a cercare gratificazioni nel cibo e una maggiore sensibilità alla presenza di stimoli esterni come la disponibilità di cibi appetitosi.

La dieta potrebbe non funzionare perchè, inconsciamente, il sovrappeso è utilizzato per ottenere o evitare qualcosa o per comunicare messaggi relazionali: può servire ad allontanare gli altri, o al contrario a mostrarsi bisognosi di aiuto, o a punire se stessi, o a punire altri col messaggio “Sono così per colpa tua”. Occorre capire quale sia il vantaggio secondario del sovrappeso, altrimenti qualunque dieta fallirà.

Molte persone in sovrappeso mangiano per fame emotiva (tema approfondito in un articolo precedente) e non per un reale stimolo fisiologico, utilizzano quindi il cibo per regolare le emozioni, soprattutto per allontanare velocemente stati emotivi negativi. Una difficoltà nella regolazione emotiva, in particolare nel tollerare la presenza di emozioni spiacevoli come tristezza e rabbia, senza metterle a tacere, porta a ricorrere al cibo impulsivamente per recuperare un immediato, illusorio stato di benessere.

Ciò che è vietato diventa ancora più desiderato e presente nella mente, perciò nelle diete elaborate da professionisti di solito è prevista la concessione dei cibi preferiti. Se ce li concediamo, in modo organizzato e pianificato, non saranno più una tentazione incontrollabile e perderanno il loro potere. Chi si avventura in diete fai-da-te, invece, spesso si ostina a negarsi totalmente i cibi più amati, a porsi restrizioni eccessive con una scelta drastica che però avrà vita breve, esponendo al rischio altissimo di cedere poi in modo incontrollato, abbuffandosi e vanificando gli sforzi fatti fino a quel momento, o comunque sottoponendo a uno stress che poi porterà, per compensazione, a mangiare di più.

Alcune abitudini rendono più difficile seguire efficacemente una dieta dimagrante e occorre modificarle. Bisognerebbe evitare di tenere in casa alimenti “pericolosi” (raccomandazione tanto ovvia quanto disattesa) o quantomeno non tenerli a portata di mano; separare il momento del pasto da altre attività, dedicandogli uno spazio e un tempo esclusivi, senza mangiare, ad esempio, sul divano; concentrarsi sulle sensazioni del pasto, senza essere distratti da tv o telefono, per diventare consapevoli di ciò che si mangia e aumentare anche il senso di sazietà; evitare di stare molte ore senza mangiare o di saltare i pasti.

La dieta è un processo di cambiamento che trasforma la persona nella sua totalità e che ha delle ricadute sulla sua famiglia, le sue relazioni, il suo lavoro. Non dovrebbe significare solo mangiare meno, ma mangiare meglio, migliorare lo stile di vita facendo esercizio fisico, aumentare la consapevolezza di sé, sbloccare energie e trovare il canale per esprimere, per recuperare o trovare l’entusiasmo e il piacere di vivere. Piuttosto che cercare il piacere e il gusto nel cibo, o solo nel cibo, bisogna capire dove risiede per noi il gusto di vivere, in quali attività, quali scelte. Nelle persone costantemente a dieta tutto ruota attorno al cibo, alla sua misura, che diventa un’ossessione. Occorre invece sottrarre centralità a cibo, bilancia, conto di grammi e calorie e spostarla sulle passioni, sui bisogni trascurati, sulla vitalità che è stata repressa.

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Signorina lei ha bisogno d'affetto

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