11-Jul-23 · Corpo e malattie organiche
Tumore al seno: l'impatto psicologico
Il tumore al seno costituisce un evento altamente stressante che costringe ad affrontare e accettare il cambiamento.
Il tumore al seno è la neoplasia più frequentemente diagnosticata nella popolazione italiana. Con quasi 55.000 nuovi casi ogni anno, è in leggera crescita nelle donne più giovani, ma si osserva anche una diminuzione della mortalità. Il tumore al seno rappresenta un evento altamente stressante che comporta distress psicologico o franca psicopatologia in una percentuale che tocca il 50%.
Come per altri tipi di tumore, di fronte alla diagnosi emergono emozioni e sentimenti tipici, che seguono solitamente un percorso in fasi e che rappresentano il tentativo della mente di adattarsi alla realtà della malattia. Inizialmente shock e incredulità, quindi intense reazioni di rabbia, paura e disperazione, per poi approdare alla capacità di venire a patti con la situazione, attivandosi per le cure. Viene poi la fase della depressione e del senso di perdita per quanto accaduto, una necessaria elaborazione che apre la strada infine all’accettazione e la riorganizzazione di un nuovo equilibrio. Molte donne, dopo l’esperienza della malattia, si dicono cambiate in meglio, più capaci di prendersi cura di sé, di assecondare i propri bisogni, con una nuova scala di valori e di priorità. Tuttavia questa acquisizione viene raggiunta dopo un percorso emotivo impegnativo, che richiede di attraversare la crisi e la ridefinizione della propria identità e il confronto con emozioni disturbanti e con continui cambiamenti.
Il cambiamento è prima di tutto fisico. A differenza di altri tipi di tumore, quello mammario comporta la mutilazione di una parte del corpo che ha un significato simbolico particolarmente forte e che nella nostra cultura ha un peso determinante all’interno dei canoni estetici, per cui un seno grande, prosperoso e armonioso è considerato sinonimo di bellezza e sensualità. Anche la perdita dei capelli causata dalla chemioterapia e la menopausa indotta dai farmaci colpiscono duramente l’immagine corporea e il senso della propria femminilità: “Non sono più io, non mi riconosco più, non mi accetto”, sono le parole pronunciate più spesso. La ricostruzione può attenuare il senso di mutilazione, ma richiede comunque di venire a patti con un seno diverso. Molte donne si ritirano in sé e rifuggono dall’intimità sessuale, non solo per il frequentissimo calo del desiderio, ma anche per la paura di essere rifiutate dal partner. Occorre un lento lavoro di accettazione per fare pace con un corpo diverso, imparare a guardarlo e toccarlo, imparare a valorizzare altri punti di forza.
Per molte donne il tumore al seno arriva quando hanno ancora figli piccoli o adolescenti e quando sono nel pieno dell’attività lavorativa. Per quanto la tentazione di tenere i figli all’oscuro della malattia sia forte, è quasi sempre controproducente. Noi psicologi incoraggiamo sempre a comunicare con loro con parole adatte, dosando sincerità e speranza, perché malgrado ogni sforzo di tener loro nascosto quanto accade, anche i piccolissimi percepiscono che qualcosa di grave sta succedendo, ma non avendo strumenti per capire, se nessuno dà loro delle spiegazioni, restano soli con un’angoscia inesprimibile.
Un altro cambiamento da digerire, è accettare di non poter essere efficienti come prima come mamme, come lavoratrici, come mogli e compagne, perché le minori energie a disposizione richiedono di dosare meglio gli impegni e di imparare anche a chiedere e accettare aiuto, vivendolo non come una debolezza, ma come un sano rispetto delle esigenze del proprio corpo, impegnato nelle cure.
“Meglio andare al lavoro o fermarmi per un po’? Cosa è meglio, psicologicamente?”, è una delle domande che più frequentemente mi rivolgono le mie pazienti. Non c’è una risposta giusta, occorre valutare cosa il lavoro rappresenta per ciascuna. Al di là delle necessità strettamente economiche, per alcune il lavoro è un modo per distrarsi, per non pensare sempre alla malattia, per stare in compagnia, per fare qualcosa che amano, per dare organizzazione alla giornata, e allora, se le condizioni fisiche lo permettono, può essere una buona scelta continuare a lavorare. Per altre il lavoro era fonte di stress già prima della malattia, oppure sentono che ora è troppo pesante, o sentono il bisogno di prendersi un periodo per dedicarsi a sé o alla famiglia, e allora può essere saggio sospenderlo.
Molte mi chiedono quale sia l’atteggiamento mentale giusto per affrontare il tumore. Al di là dei diversi stili propri di ogni singola persona, alcune indicazioni hanno un’utilità generale:
- Avere un atteggiamento attivo, che vede il tumore come una sfida da affrontare e non come qualcosa che si subisce passivamente.
- Avere un atteggiamento fiducioso, che non significa cieco “pensiero positivo”, ma trovare nella realtà quegli elementi che possono far sperare.
- Accettare ed esprimere liberamente le emozioni negative, che fanno normalmente parte dell’adattamento alla malattia.
- Ascoltarsi e seguire i propri ritmi.
- Assecondare i propri desideri, se non arrecano a danno a sé o agli altri. Prendersi cura di sé con tutto ciò che dà sollievo, piacere, senso alla propria vita.
- Comunicare direttamente agli altri ciò che si vorrebbe, senza vivere il chiedere come un fallimento e senza aspettare che gli altri lo intuiscano da soli, perché anch’essi sono in difficoltà e non sanno come comportarsi, e hanno bisogno di istruzioni chiare.