11-Jul-23 · Corpo e malattie organiche
Obesità, quanto contano i fattori psicologici?
Nelle persone obese si riscontrano peculiari fattori psicologici che possono contribuire all'insorgenza e al mantenimento del problema alimentare.
L’obesità, uno dei maggiori problemi di salute pubblica, consiste in un accumulo eccessivo di grasso corporeo con conseguenze anche gravi sullo stato di salute e sulla qualità della vita. L’obesità è una condizione medica determinata da più fattori che concorrono: genetici, fisici, ambientali, socio-culturali, educativi, psicologici. Di per sé non è inserita tra i disturbi del comportamento alimentare, che rientrano nei disturbi mentali, ma può essere in vario modo collegata ad essi, essendone l’esito finale, oppure essendo accompagnata da essi. Oltre ai disturbi del comportamento alimentare, sono spesso associati all’obesità anche depressione, ansia, disturbo ossessivo-compulsivo e altre condizioni psicologiche. Non sempre si riesce a distinguere se queste siano la causa o la conseguenza dell’obesità, perciò parliamo più cautamente di aspetti psicologici associati all’obesità.
Considerare anche le componenti psicologiche dell’obesità è imprescindibile per poterne impostare adeguatamente il trattamento: non solo eventuali disturbi mentali concomitanti, ma anche la personalità del soggetto, il suo funzionamento globale, gli eventi di vita stressanti o traumatici occorsi. Per ogni singola persona obesa, occorre valutare quali specifici fattori psicologici possano contribuire al problema alimentare.
Tra le persone obese è rilevante la presenza del disturbo del comportamento alimentare definito “disturbo da binge-eating”, caratterizzato da abbuffate ricorrenti in cui vengono assunte grandi quantità di cibo in un periodo limitato di tempo, senza condotte di eliminazione come vomito o uso di lassativi (come avviene invece nella bulimia). Le abbuffate sono vissute con intenso disagio e con la sensazione di perdere il controllo sul proprio comportamento e sono seguite da depressione dell’umore. In altre persone obese, invece, l’assunzione di grandi quantità di cibo avviene durante i pasti (iperfagia prandiale) ed è legata alla sensazione di piacere per il cibo e all’aspetto conviviale dell’alimentazione, spesso risultato di abitudini familiari, senza la percezione di perdere il controllo come avviene del binge-eating. In altri casi l’obesità è associata al grignottage, ovvero il continuo spiluccare piccole quantità di cibo ipercalorico, soprattutto dolci e grassi, sia per il piacere del cibo, che in risposta alla noia o a emozioni negative.
Nelle persone obese si osservano e ipotizzano diversi fattori psicologici, sia cognitivi che emotivi:
- Un’ alta sensibilità al cibo: la sola vista di cibo appetitoso può indurre un aumento della sensazione soggettiva di fame nelle persone obese, corrispondente ad una eccessiva reattività del circuito cerebrale deputato alla ricompensa alimentare, come evidenziato durante risonanza magnetica
- Un deficit delle funzioni esecutive, ovvero dei processi cognitivi di pianificazione e organizzazione che permettono di regolare i comportamenti impulsivi. Questo comporta un discontrollo cognitivo nella gestione di attività gratificanti e rischiose, con un’ incapacità di controllare il comportamento e di rinunciare alla gratificazione immediata di un cibo appetitoso e attraente per perseguire un obiettivo più a lungo termine, come la perdita di peso. Si ipotizza una disfunzione del sistema di ricompensa nella motivazione ad alimentarsi, in particolare una disfunzione della dopamina, neurotrasmettitore coinvolto nella gratificazione. La difficoltà cognitiva a pianificare le varie azioni necessarie per raggiungere un obiettivo può comportare difficoltà nel fronteggiare e risolvere i problemi, con conseguente maggiore utilizzo del cibo come “soluzione” e, al contempo, incapacità di iniziare, mantenere e portare a termine un programma di dimagrimento
- Una scarsa flessibilità cognitiva, con difficoltà a spostare l’attenzione dal cibo ad altri stimoli e attività alternativi
- Scarsa autostima e mancanza di senso di autoefficacia, percezione che la propria vita sia regolata da qualcosa di esterno e fuori dal proprio controllo con conseguente scarso impegno per raggiungere un obiettivo, giudizio negativo di sé, senso di impotenza, mancanza di progettualità
- Una difficoltà a regolare le emozioni. In situazioni di stress, il cibo viene utilizzato per contenere le emozioni negative. I segnali di fame e sazietà non vengono più riconosciuti e percepiti: si mangia non quando si sente fame, ma per gratificarsi o per mettere a tacere momentaneamente rabbia, tristezza, frustrazione, paura, senso di colpa. Le abbuffate del disturbo da binge-eating sono chiaramente innescate da emozioni negative e hanno lo scopo di mitigarle
- Un significato simbolico e relazionale: il corpo ingombrante può essere il mezzo usato inconsciamente per mantenere l’altro a distanza, per evitare l’intimità, per proteggersi dall’incontro temuto con l’altro, per punire sé stessi autodistruggendosi. Dinamiche familiari disfunzionali possono contribuire all’obesità.
Il trattamento psicologico ha lo scopo di favorire il senso di autoefficacia, la fiducia in sé, la progettualità futura. La pratica del “diario alimentare” aiuta a diventare consapevoli del legame tra emozioni, pensieri e comportamenti disadattivi e a modificare schemi diventati automatici. L’intervento psicologico aiuta la persona a prendere contatto con le sue emozioni, a tollerarle, a non scambiarle per fame, a distinguere tra malessere fisico e psicologico imparando a riflettere su quest’ultimo, a gestire stress e noia in un modo alternativo all’uso compulsivo del cibo.