01-Feb-24 · Corpo e malattie organiche
Vivere con una malattia rara: l’impatto psicologico e le sfide quotidiane
Una diagnosi di malattia rara travolge non solo la vita del malato ma anche della sua famiglia, costringendo a confrontarsi con sfide particolari.
Le malattie rare sono malattie potenzialmente mortali o croniche e invalidanti a lungo termine, di bassa prevalenza e alto livello di complessità. Si tratta quindi di patologie che si verificano in modo infrequente nella popolazione (una persona su 1.000-1.500, per l’OMS). Se la singola patologia è rara, l’insieme dei malati con malattia rara è però in realtà molto consistente: sono più di 8000 le malattie rare finora identificate, e nell’insieme sono circa un milione le persone che ne sono affette in Italia. Si tratta quindi di una importante fetta della popolazione che si trova a in una condizione particolarmente difficile: vivere con una malattia rara ha importanti ripercussioni psicologiche, in quanto comporta implicazioni in ogni aspetto della vita e su numerose scelte e decisioni, dalla scuola, al lavoro, al tempo libero, alle relazioni personali.
Una diagnosi di malattia rara travolge non solo la vita di chi ne è affetto, ma anche quella della sua famiglia. Intanto, essendo spesso la malattia diagnosticata di origine genetica (nell’80% dei casi), si pone la questione delle indagini negli altri familiari, con tutto il carico di preoccupazione che ne consegue. Il fatto che più componenti della stessa famiglia siano affetti dalla stessa patologia può aggravare la sofferenza psicologica. Inoltre, data la frequente origine genetica, un tema delicato da affrontare è il rischio riproduttivo, proprio e dei familiari. La famiglia è chiamata ad affrontare molteplici sfide; il carico di tensione e sofferenza può a volte essere motore di maggiore vicinanza e supporto reciproco, ma in altri casi provocare conflitti e fratture.
La reazione emotiva alla diagnosi attraversa di solito diverse fasi: incertezza e confusione, per il lunghissimo tempo di attesa (tra i 5 e i 20 anni) prima di avere una diagnosi; sconcerto, angoscia, solitudine, opposizione e isolamento, con la comparsa di meccanismi di difesa come la negazione della malattia; rabbia, che rappresenta anche una difesa rispetto al senso di impotenza; tristezza, con ritiro in sé ed elaborazione interiore di quanto accade; adattamento, ovvero arrivare infine ad affrontare la malattia accettandone i limiti ma investendo su tutto ciò che è ancora possibile.
Le malattie rare comportano difficoltà cliniche. Per le malattie rare non ci sono protocolli collaudati, casistiche ampie a cui attingere, possono non esserci terapie e test diagnostici specifici e anche solo arrivare ad avere la diagnosi è un percorso tortuoso e lungo. Non esiste quasi mai una cura effettiva ma l’intervento possibile è sui sintomi per migliorare la qualità della vita. Il 30% delle malattie rare resta senza diagnosi e senza nome. Tutto questo alimenta l’angoscia e la frustrazione.
Uno degli aspetti psicologici più frequenti nelle persone con malattie rare è la percezione di essere scarsamente comprese e supportate dalla società. Pazienti e famiglie si sentono “diversi tra i diversi”, distanti dagli altri sia per i problemi concreti che devono affrontare, sia per gli sguardi imbarazzati degli altri. Molti sperimentano un vissuto di insicurezza e di scarso accesso alle cure e all’assistenza rispetto ad altri tipi di malati. Il mancato riconoscimento sociale comporta un vissuto di isolamento e impotenza, il dover continuamente spiegare agli altri la malattia comporta frustrazione, rabbia e spesso ritiro sociale.
Le persone affette da malattie rare e i loro familiari necessitano quindi in modo particolare di un supporto psicologico che le aiuti a mobilitare risorse per un continuo riadattamento alle sfide poste dalla patologia. Un ruolo fondamentale è svolto dalla associazioni di volontariato. Le associazioni svolgono un ruolo essenziale perché non solo forniscono informazioni, ma perché in genere i volontari sono le stesse persone che hanno la malattia rara o caregiver che hanno vissuto tutto in prima persona e con cui è possibile confrontarsi. Per i nuovi diagnosticati, c’è la possibilità di trovare un modello e un rinforzo positivo nell’esperienza altrui, e per i volontari, a propria volta malati, un maggior senso di autoefficacia e di realizzazione personale grazie alla percezione di aver dato un aiuto concreto ad altri.