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16-Apr-20 · Corpo e malattie organiche

Gli anziani e la percezione del rischio Coronavirus

Di fronte al rischio di contagio, molti anziani sono terrorizzati, altri appaiono incuranti del pericolo. I possibili motivi delle diverse reazioni.

Sono quelli che rischiano di più, perchè con più difficoltà possono superare le gravi complicazioni che l’infezione da Covid-19 può provocare; quelli di cui, nei primi momenti di diffusione del virus in Italia, si diceva, con sbrigativa brutalità, “Tanto muoiono solo i vecchi”; quelli per cui invece, subito dopo, si è sollevata l’indignazione, richiamando la necessità di uno sforzo collettivo proprio per proteggere loro, i nostri cari più fragili, i nostri familiari più indifesi. D’altra parte, sono anche quelli di cui ora molti lamentano i comportamenti irrispettosi delle norme: «Noi ci preoccupiamo per loro, e loro invece continuano a uscire!», «Vanno a fare la spesa tre volte al giorno per prendere un pezzo alla volta!», «Continuano a vedersi per giocare a carte davanti al bar, e senza mascherina!».

Gli anziani stanno reagendo alla situazione attuale con modalità diverse, che sembrano però polarizzarsi su due posizioni opposte: da un lato, molti sono estremamente spaventati, disorientati, ansiosi, anche terrorizzati, si sono barricati in casa evitando più possibile i contatti con l’esterno e tenendosi lontani anche dagli amati figli e nipoti; dall’altro, troppi continuano con le abitudini precedenti, violano le limitazioni, sminuiscono il pericolo o addirittura lo ridicolizzano, mostrando una scarsa consapevolezza del rischio.

Cosa spiega comportamenti tanto diversi, che a volte risultano incomprensibili e provocano stupore e irritazione? Occorre intanto considerare che il termine “anziano” copre in realtà un intervallo di età molto vasto, che spazia dal sessantenne all’ultranovantenne. Se i mass media parlano genericamente di “anziani” a partire dai 60 anni in su, usando un unico termine per riferirsi all’ampia fascia di popolazione maggiormente a rischio di complicazioni gravi e letali, la percezione soggettiva del rischio e persino la percezione di sé stessi come, appunto, soggetti anziani, è molto più articolata. Ci sono sessantacinquenni che lavorano, hanno uno stile di vita molto attivo; settantenni e anche ottantenni quotidianamente impegnati nella cura dei nipoti, attivi nel sociale, abituati a viaggiare, o a prendersi cura dei propri interessi e passioni. Altri anziani, soprattutto quelli di età più avanzata, possono invece trovarsi in precarie condizioni di salute, limitati nei movimenti, dipendenti dalle famiglie, istituzionalizzati, soli, o possono soffrire di diverse forme di declino cognitivo.

Gli anziani possono avere più difficoltà a filtrare le informazioni e le notizie, a discriminare quelle attendibili dalle fake news, a riconoscere le fonti affidabili a cui fare riferimento e quindi ad avere una adeguata comprensione dei fatti, soprattutto considerando la velocità con cui si rincorrono le comunicazioni e le indicazioni, spesso discordanti anche quando provenienti da fonti ufficiali. Occorre quindi guidarli nell’acquisire le informazioni, dare indicazioni con modalità accessibili, dare istruzioni chiare per usare i dispositivi di protezione, con cui possono non avere familiarità.

Le persone anziane, soprattutto quelle con declino cognitivo, in questo periodo possono essere più ansiose, agitate, arrabbiate e sospettose. Possono avvertire maggiormente il senso di solitudine. Chi ha perso il coniuge, può soffrire la lontananza e la mancanza dell’affetto fisico di figli e nipoti. I pensieri di malattia e morte, con cui sono già abituate in parte a convivere, si accentuano ulteriormente. Possiamo aiutarle facendo sentire in ogni modo la nostra presenza: insegniamo loro come usare lo smartphone, scambiare messaggi, fare videochiamate. Possiamo far sentire loro attenzione e vicinanza inviando foto, ricordi, chiamandoli, senza parlare sempre solo del virus e delle notizie attinenti, ma parlando di temi piacevoli e dando comunque comunicazioni improntate alla fiducia e alla rassicurazione.

Le persone anziane presentano una rigidità per cui si adattano meno ai cambiamenti e hanno più difficoltà a modificare le abitudini, opponendo resistenza alla variazione delle routine consolidate che strutturano la loro giornata (andare a comprare il pane, passare a prendere il giornale, fare la camminata quotidiana raccomandata dal medico, fermarsi a fare due chiacchiere con la vicina, ritrovarsi con gli amici al bar). D’altro canto, possono non sapere come usare i servizi per avere la spesa o i farmaci a domicilio. Possono allora accettare meglio i cambiamenti necessari e tranquillizzarsi se gli si offre aiuto pratico, portandogli gli alimenti o spiegandogli chi chiamare, suggerendogli esercizi da fare in casa per tenersi comunque in movimento. I familiari che escono, possono avere la premura di prendere il loro giornale preferito o un cibo particolarmente gradito.

Nell’età anziana l’affettività tende a concentrarsi su aspetti circoscritti e la preoccupazione si polarizza sul proprio benessere fisico e psichico, portando a un maggior egocentrismo rispetto alle altre età della vita: l’interesse è spostato dal mondo esterno e rivolto verso sé stessi e il proprio corpo, portando a quelle che dall’esterno vengono definite come “fissazioni” o pretese portate avanti con cocciutaggine. Legato alle proprie convinzioni, l’anziano di solito è restio a imparare cose nuove e accettare le innovazioni. Può pretendere di avere sempre ragione ed essere poco disposto ad ascoltare.

Alcuni anziani si comportano in modo indisciplinato e incurante delle restrizioni perchè confrontano il pericolo attuale con altre gravi prove che hanno superato in passato e non ne sono spaventati. Da un lato è vero che hanno alle spalle esperienze difficili superate e che possono essere una risorsa nel trasmettere agli altri la speranza di poter uscire da questo periodo drammatico, ma occorre aiutarli a far sì che questa sicurezza non diventi imprudenza.

O invece, proprio il sentirsi vulnerabili li porta, per meccanismo di difesa, a negare il pericolo e a mantenere tutto inalterato per dimostrare di essere immuni e di essere efficienti e forti. Il comportamento rischioso può coprire le loro paure e insicurezze, che non vogliono ammettere. Possono sentirsi trattati da vecchi e sfidare le limitazioni per dimostrare che invece sono ancora capaci. In questo senso, insistere in modo esasperato sul loro rischio aumentato di fronte al virus, sperando di indurli col terrore a fermarsi, non fa che ottenere l’effetto contrario. Piuttosto, è utile ricordare loro che queste improvvise limitazioni alla loro autonomia non sono dovute al fatto che li riteniamo meno capaci, non dipendono da loro ma riguardano tutti per l’eccezionalità del momento. Possiamo incoraggiarli invece ad accettare le nostre esortazioni a non rischiare, come un segno del nostro affetto per loro e del nostro desiderio di proteggerli, dettato dall’amore.

Nel caso di persone con demenza, bisogna valutare l’opportunità di informarle su quanto sta accadendo, considerando se l’anziano è in grado di comprendere e agire di conseguenza o se le informazioni avrebbero il solo effetto di aumentare la sua agitazione e comportamenti che anzi lo esporrebbero a un maggior rischio. Gli anziani con demenza potrebbero anche spaventarsi vedendo i familiari con le mascherine, non comprendere la necessità di indossarla, o di lavare spesso le mani o misurare la temperatura; tutte queste procedure dovrebbero essere attuate nel modo più discreto possibile. Mantenere il più possibile durante la giornata una routine stabile con attività piacevoli li aiuta a sentirsi più sicuri.

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Signorina lei ha bisogno d'affetto

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