13-Jul-24 · Famiglia e genitorialità
Caregiver, un compito gravoso e poco riconosciuto
Chi si occupa dell'assistenza a un familiare malato, disabile o non autosufficiente vive una condizione di stress cronico ed emozioni contrastanti, spesso inespresse.
“Sono più di venti anni che ogni minuto penso solo a mia figlia, mentre la sto lavando, mentre la accarezzo. Certe volte lei mi guarda con gli occhi disperati, e io dico dentro di me…perché non muori?”. È la dolorosa, crudele confessione a cui Nadine, madre e devota caregiver di una ragazza con disabilità nel film “Le chiavi di casa”, si lascia andare parlando con il protagonista Gianni, anch’egli padre di un ragazzino disabile. Una confessione che infrange ogni tabù e dà voce ai sentimenti più inconfessabili di chi si trova ad essere caregiver (ovvero chi si occupa di una persona cara malata, disabile o in condizione di non autosufficienza), a ciò che non si vorrebbe vedere, che non si ammette neanche possa esistere. Il pensiero della Nadine del film è estremo e molti caregiver lo rigetterebbero con orrore, ma se tanta disperazione e spietatezza possono essere rari e sfiorare la mente di pochi, sono invece molto comuni altre condizioni e stati d’animo meno intensi ma non meno penosi, con cui i caregiver devono costantemente convivere: frustrazione, stanchezza, impotenza, sensi di colpa, vergogna, rabbia, solitudine, emarginazione, paura del futuro, esaurimento fisico, mancanza di tempo ed energie per sé, difficoltà organizzative, ripercussioni sulla vita relazionale, professionale, sociale.